Premessa
Non potrei concludere questa serie di articoli dedicati a una patologia molto diffusa e invalidante come il glaucoma, senza aggiungere delle ultime, necessarie osservazioni.
Sul glaucoma e sulle terapie attualmente disponibili per i pazienti, rimangono moltissimi dubbi. In particolare, uno di essi riguarda la trabeculectomia, considerata universalmente da sessant’anni il gold standard per la chirurgia del glaucoma.
E’ molto difficile che in medicina una tecnica chirurgica rimanga pressoché invariata per così tanto tempo. Tanto meno quando essa risulti essere così invasiva: basti pensare che prevede – oltre alla creazione di una fistola – persino l’asportazione di una piccola porzione di iride, l’iridectomia.
Ma tutto ciò che è vero per la cura delle altre patologie, non lo è più quando si parla di glaucoma. In Italia nessuno sembra porsi molti dubbi sull’uso di questa tecnica chirurgica. Dall’altra parte dell’Oceano, tuttavia, si può trovare qualche oftalmologo disposto a mettere tale metodica almeno in discussione.
Il dott. David Richardson è uno specialista della cataratta e del glaucoma che lavora nella grande area metropolitana di Los Angeles. Richardson ritiene che la trabeculectomia sia ormai superata e non più adatta alle necessità del tempo presente.
Afferma: «La trabeculectomia è difficile da controllare perché tutto quel che riguarda l’intervento e il periodo postoperatorio viene fatto manualmente. La restrizione del flusso è sempre “stima approssimativa”. Quindi il paziente può finire con pressioni troppo alte o troppo basse. Se le pressioni sono troppo basse, si può finire con una maculopatia ipotonica.
Il successo della trabeculectomia dipende interamente dalla bozza filtrante: è stato necessario sviluppare metodi per impedire al corpo di fare ciò che naturalmente vuole fare, ovvero guarire se stesso. Quindi si gettano “veleni” (quelli che comunemente vengono definiti antimetaboliti, perché veleno non suona bene). Si gettano antimetaboliti, come Mitomicina C, 5-Fluorouracile, nell’occhio del paziente durante l’operazione e questo impedirà all’occhio di guarire.
E in effetti quando si impedisce all’occhio di guarire, ciò che consente alla bozza di rimanere funzionante consente anche ai batteri potenzialmente di entrare, di penetrare il tessuto che non può guarire. Quindi i pazienti che hanno subìto una trabeculectomia saranno a rischio di infezione per tutta la vita. Quel rischio di infezione non scomparirà mai finché avranno una bozza attiva e funzionante.
Se la creazione della bozza filtrante sottocongiuntivale poteva essere accettabile negli anni Sessanta, su pazienti molto anziani che conducevano una vita ritirata in casa, non è più concepibile oggi su pazienti giovani o su anziani molto attivi. Dire di smettere a un surfista di sessant’anni – secondo quanto afferma Richardson – che cavalca abitualmente onde alte il doppio del soffitto, è come ucciderlo. Perché? Perché non vorrà più vivere.
La bozza infatti è un “amico scomodo”, che deve essere mantenuta pulita, protetta da qualunque trauma e portata a continui controlli. Pena la perdita totale e repentina della vista. E’ evidente allora che la creazione di una bozza risulti sconsigliabile su uno sportivo o su un uomo anziano che conduce una vita ancora molto attiva.»
E non solo. Il rischio di fallimento della bozza a causa della naturale cicatrizzazione è alto soprattutto in pazienti giovani. Allora si deve ricorrere anche a una procedura chiamata needling, che consiste nello sbrigliamento delle aderenze cicatriziali mediante “un finissimo ago”. Almeno, così viene scritto nelle schede informative destinate ai pazienti e in tutti quei siti oculistici che accennano a questa procedura.
Ma se si va a indagare più a fondo, ci si accorge che l’ago in questione non risulti essere così sottile: il calibro può variare da 25 gauge a salire, mentre un normale ago usato comunemente nelle iniezioni possiede un calibro pari a 20 o 21 gauge.
Ciò significa che il diametro dell’ago di 25 gauge, che è la misura più usata per il needling, è di 0,50 millimetri, mentre generalmente per flebo si usa 20 o 21 gauge: rispettivamente 0,90 e 0,80 millimetri. La differenza non è molta se si considera che l’ago da 0,50 millimetri viene utilizzato sui delicatissimi tessuti oculari.
L’ago piegato da 25 gauge viene fatto avanzare nello spazio sottocongiuntivale adiacente al lembo sclerale e utilizzato per rompere le aderenze episclerali e sollevare il lembo, entrando nella camera anteriore. Quindi viene iniettata Mitomicina C (0,4 mg/mL) nello spazio sottocongiuntivale adiacente alla bozza. Qui il video con la procedura.
Needling per fallimento della bozza filtrante dopo intervento di trabeculectomia
Questo ci fornisce l’idea della effettiva invasività del trattamento, nonostante le dichiarazioni spesso rassicuranti in merito. D’altronde l’endoftalmite, l’infezione oculare che può condurre a perdita della vista, è uno dei rischi più temuti del needling: procedura che viene solitamente accompagnata o seguita da un’iniezione sottocongiuntivale di farmaci chemioterapici: Mitomicina C o 5-Fluorouracile.
Secondo Richardson è giunto ormai il momento di pensare a interventi chirurgici per il glaucoma innovativi e propone alternative senza bozza filtrante, come la canaloplatica o l’uso di una MIGS (chirurgia mininvasiva del glaucoma) che non crei bozze e non lasci dispositivi permanenti all’interno dell’occhio: la viscocanaloplastica ab interno (ABiC).
Poiché il target pressorio raggiungibile con questa MIGS è circa 16 mmHg, si potrebbe pensare di affiancare la stessa con l’uso di un laser micropulsato come MicroPulse P3 (MP3), se dovesse essere necessario raggiungere target pressori più bassi [se il target pressorio ricercato per il singolo paziente lo permette, è preferibile usare livelli di energia più bassi per ridurre al minimo le complicazioni e permettere una maggiore ripetibilità del trattamento nel tempo, n. d. r.].
Come riporta ancora Richardson, un paziente su cinque sottoposto a trabeculectomia potrebbe ritrovarsi con ptosi (abbassamento della palpebra). Se ciò dovesse risultare vero, vorrebbe dire anche che i dati sull’incidenza di ptosi dopo chirurgia del glaucoma riportati in molti studi clinici, sarebbero sottostimati. Nonostante gli stessi studi diano per scontato come “la ptosi sia una conseguenza ben nota della chirurgia del glaucoma”.
E se è vero che una ptosi lieve non mette a rischio la vista, è anche vero che essa ha un impatto molto significativo sulla vita del paziente.
Sappiamo come la ptosi non sia l’unico rischio dopo la chirurgia del glaucoma: sono molteplici i gravi rischi intra operatori e post operatori che mettono a repentaglio la vista.
Gran parte della comunità scientifica che si occupa di glaucoma non sembra tuttavia porsi seri interrogativi sui gravi rischi per i pazienti provocati dalla creazione di una bozza filtrante e continua trionfalmente a presentare come “mininvasivi” tutti quegli interventi chirurgici per il glaucoma che prevedono la presenza della bozza sottocongiuntivale.
Interventi che produrrebbero “un impatto minimo sulla qualità di vita del paziente“: affermazione tutta da verificare quando si tratta di MIGS (chirurgia mininvasiva del glaucoma) creanti una bozza filtrante, con la successiva gestione postoperatoria della bozza, le procedure di needling, la possibile revisione della stessa e tutte le gravi complicazioni che potrebbero presentarsi all’improvviso.
Dimenticando inoltre come la gran parte delle MIGS – anche quelle che non creano una bozza – lascino comunque dei dispositivi permanenti all’interno dell’occhio: dispositivi abbandonati nell’occhio del paziente, di cui non sappiamo la sicurezza a lungo termine, anche quando – in genere dopo quattro o cinque anni – l’efficacia dell’intervento sarà ormai finita.
Mentre qualcun altro considera le MIGS dotate di “un profilo di sicurezza estremamente elevato”.
Queste affermazioni provenienti da personale medico specializzato giungono nonostante non esistano RCT (Randomized Controlled Trials) che provino l’efficacia e la sicurezza della maggior parte delle MIGS.
Viene inoltre affermato che la bozza filtrante sia l’unico modo possibile per raggiungere target pressori molto bassi.
Ma se questo è vero, e lo è sempre stato, allora perché mai Google ha tanta paura di ricordare la ciclodiastasi a filo di Supramid ideata dall’oftalmologo italiano Benedetto Strampelli? Forse perché questo intervento si era rivelato molto efficace per abbassare in modo soddisfacente la pressione intraoculare?
Sfruttava la via sovracoroideale per il deflusso dell’umore acqueo senza creare una bozza filtrante e usava un filo che attualmente viene usato in chirurgia plastica e che possiede caratteristiche di tenuta a vita. Il filo di Supramid scorre tra i tessuti con pochissimo trascinamento, viene inglobato in essi ed è ben tollerato: dunque riduce di molto il danno ai tessuti.
Strampelli insieme con Marchi già nel 1969 aveva messo a punto una tecnica di ciclodiastasi per introflessione sclerale; in fisiologia, introflessione significa: “ripiegamento di un organo o una parte di esso verso il suo interno”.
Anche se non ci è più dato di poter consultare le pubblicazioni del grande oftalmologo romano, ciò significherebbe che, per poter passare il filo di Supramid, con la sua tecnica innovativa Strampelli non aveva più necessità di praticare incisioni sui tessuti ma soltanto una introflessione sulla sclera.
Ma sul prof. Strampelli è calata come una scure affilata la censura: per fare solo un banale esempio, non troverete traccia alcuna del mio articolo precedente se andrete a effettuare una ricerca su Google, DuckDuckGo, Bing o altri motori di ricerca cosiddetti “alternativi”.
Se provate a digitare invece la parola “trabeculectomia”, troverete un’infinità di risultati. Addirittura qualche addetto ai lavori nelle recensioni sulle strutture sanitarie scrive di una fantomatica “guarigione parziale” a seguito di un intervento di trabeculectomia bilaterale, quando è ben noto che la pressione intraoculare sia solo un fattore di rischio per il glaucoma e non la causa di esso. La trabeculectomia quindi non può guarire nessuno, ma solo, eventualmente, rallentare la progressione del danno al nervo ottico e il conseguente peggioramento del campo visivo.
La trabeculectomia consiste nell’asportazione di un tassello di tessuto sclero-corneale delle dimensioni di circa 1 X 3 millimetri per creare una fistola all’interno dell’occhio
Ma chi fu l’ideatore della diffusissima trabeculectomia?
Facendo delle ricerche, troviamo che a mettere a punto questo complesso quanto altamente invasivo intervento fu l’oftalmologo britannico John Edward Cairns.
Cairns, proveniente da una famiglia facoltosa, studiò al Mount St Mary’s College, un collegio fondato nel 1842 dai Gesuiti nel Derbyshire e al St Thomas’s Hospital Medical School e si laureò in medicina nel 1923 alla giovane età di 22 anni. Si trasferì in Israele per tredici anni dove prestò servizio al grande e moderno Eye Hospital di Gerusalemme ma fu costretto a lasciare la città sul finire degli anni Sessanta, allorquando fu scatenata una persecuzione contro i britannici a causa delle vicende del Canale di Suez.
Necrologio in occasione della morte di John Edward Cairns (
Oggi la trabeculectomia, la cui tecnica ha subito alcune variazioni da allora, viene completata – come ricorda Richardson – con l’aggiunta di un farmaco off label: la Mitomicina C. È utilizzata per inibire la cicatrizzazione dei tessuti oculari intorno alla bozza ma sappiamo come essa provochi danni irreversibili ai tessuti stessi e come il suo uso avvenga ormai di routine anche su pazienti anziani, in cui la cicatrizzazione è notoriamente scarsa.
Ciò espone i pazienti a un rischio maggiorato di endoftalmite, la temutissima infezione a carico dell’occhio che può provocare la perdita totale della vista in poco tempo. Non solo: anche il rischio di ipotonia è maggiorato, e con essa, l’affacciarsi di gravi complicazioni, come il glaucoma maligno, la maculopatia ipotonica, la blebite (infezione della bozza che può evolvere in endoftalmite), l’emorragia sovracoroideale.
Tutte complicazioni che portano alla cecità irreversibile se non si interviene in tempo.
Ma quando anche si intervenga in tempo, è comune una grave e irreversibile perdita della vista. Davvero una brutta beffa per chi ha affrontato la chirurgia oculare con la speranza di salvarsi la vista.
E allora perché usare ancora la Mitomicina C, in particolare sui pazienti anziani? E non solo sugli anziani, considerati i gravissimi e noti rischi che il suo utilizzo comporta.
Un video, fra i tanti sul web, recentemente mi ha molto colpita. È stato realizzato durante un intervento di trabeculectomia eseguito dall’oftalmologo indiano Siddharth Dikshit, che commenta successivamente il video corredato anche da didascalie.
Al minuto 29:32 compare all’improvviso, accompagnata dalle spiegazioni del medico, la scritta: Mitomycin C Application. E subito dopo: Deal of the Devil.
Proprio così.
Deal of the Devil: Patto col diavolo.
Blebite: infezione della bozza filtrante
Endoftalmite (Lemley e Han. Endophthalmitis. Retina 27:662-80,2007)
A pensarci bene, Cairns non studiò forse dai Gesuiti?
Molti degli esponenti più in vista della nostra società odierna provengono anche loro da studi compiuti nelle famose scuole dei Gesuiti. Da Mario Draghi a Sergio Mattarella, da Carlo Azeglio Ciampi a Giuseppe Conte, la lista è lunga. Anche Beppe Grillo ha frequentato non molto tempo fa circoli gesuitici, mentre è stato proprio un gesuita a pronunciare l’invocazione all’insediamento di Joe Biden come presidente degli Stati Uniti il 20 gennaio 2021.
Certo, questo non significa proprio nulla. Ma qualcosa, da irriducibili “complottisti” quali siamo, alimenta comunque le nostre fantasie. Anche Jorge Mario Bergoglio ha studiato dai Gesuiti.
E sappiamo bene in quali condizioni versi oggi la Chiesa Cattolica.
Terminata questa parentesi, che spero mi perdonerete, cercherò d’ora in poi di essere il più possibile imparziale e obiettiva: mi baserò unicamente sui dati scientifici disponibili, come si convenga a un articolo serio, che tratta di argomenti scientifici altrettanto seri e delicati.
Una grande risorsa contro il glaucoma: la trabeculoplastica laser selettiva
La trabeculoplastica laser, ovvero l’applicazione di un raggio laser al trabecolato, struttura dell’occhio deputata al deflusso dell’umore acqueo, allo scopo di migliorare la capacità di deflusso e quindi abbassare il tono oculare, è stata introdotta nel 1972.
Il trabecolato (TM ovvero trabecular meshwork, rete trabecolare) è una rete trabecolare di tessuto spongioso situata nell’angolo fra l’iride e la cornea. Il trabecolato funge da filtro attraverso il quale l’umore acqueo passa per entrare nel sistema di drenaggio, costituito dai canali di Schlemm: piccoli canali venosi situati intorno alla circonferenza dell’iride. Questi canali raccolgono l’umore acqueo filtrato attraverso il trabecolato e lo drenano nel sistema venoso dell’occhio per essere assorbito dalla circolazione sistemica.
La trabeculoplastica laser ad argon (ALT) è stata introdotta nel 1973 ed è diventata il tipo predominante di trabeculoplastica laser per diversi decenni. La trabeculoplastica laser selettiva (SLT) è stata introdotta nel 1995 e ha ricevuto l’approvazione della Food and Drug Administration per il trattamento del glaucoma nel 2001. Durante la SLT, un laser neodimio:ittrio-alluminio-granato Q-switched a frequenza raddoppiata viene applicato all’angolo, che agisce selettivamente sulle cellule pigmentate del trabecolato.
Infatti gli oftalmologi Latina e Park hanno dimostrato che un laser Nd:YAG Q-switched da 532 nm con durata dell’impulso di nanosecondi è in grado di colpire selettivamente le cellule pigmentate della rete trabecolare senza danni termici collaterali alle cellule non pigmentate adiacenti della rete trabecolare e ai fasci trabecolari sottostanti.
Una illustrazione grafica della procedura di trabeculoplastica laser selettiva (SLT). Si noti il fascio laser di colore verde diretto verso il trabecolato
La trabeculoplastica laser selettiva è stata classificata dalla FDA nel 2002 come procedura separata dall’ALT. La SLT è la somministrazione di energia laser al TM utilizzando parametri tali che il risultato sia l’assorbimento selettivo di energia da parte delle cellule pigmentate, risparmiando le cellule e i tessuti adiacenti dai danni termici. Sebbene il meccanismo della sua azione sia ancora meno compreso di quello dell’ALT, fornisce una riduzione della pressione intraoculare simile in entità e durata a quella ottenuta con l’ALT, è associata a pochissime complicazioni e offre diversi altri potenziali vantaggi rispetto all’ALT.
Un interessante articolo dell’oftalmologo Dario Romano, pubblicato sulla rivista online Oftalmologia Domani nei mesi di settembre-dicembre 2022 con il titolo: «La trabeculoplastica laser», mette a confronto tre tecniche laser che prendono di mira il trabecolato allo scopo di aumentare il deflusso della pressione oculare valutandone efficacia e sicurezza. Una di esse è la trabeculoplastica laser selettiva (SLT), su cui si concentra maggiormente il nostro interesse.
Argon Laser Trabeculoplasty (ALT)
«Introdotta nel 1979, la trabeculoplastica ad argon laser (ALT), è diventata sempre più utilizzata come alternativa o come potenziamento della terapia topica ipotonizzante. Nel 1990 la tecnica è stata consacrata grazie alla pubblicazione dei dati del Glaucoma Laser Trial (GLT), studio in cui venivano randomizzati 542 occhi di 271 pazienti e trattati con timololo [collirio per abbassare la pressione intraoculare, n. d. r.] o ALT: nei 5 anni successivi al reclutamento, i pazienti sottoposti a trabeculoplastica avevano mantenuto mediamente un miglior controllo della pressione intraoculare, senza differenze significative su acuità visiva e progressione del campo visivo.
Tecnica
La tecnica prevede l’utilizzo di un classico Argon laser, con una lunghezza d’onda di 514 nm e di una lente da gonioscopia, preferibilmente con ampia base di contatto per avere maggiore stabilità (3 specchi di Goldmann o lente di Latina). Lo spot di 50 micron di diametro va direzionato alla giunzione tra trabecolato pigmentato e trabecolato non pigmentato (Figura 1).
Figura 1 – Dimensione e localizzazione degli spot laser di ALT, SLT e MDLT
Nel caso in cui le strutture angolari non siano ben esposte, è possibile premedicare il paziente con un collirio miotico, quale la pilocarpina. La durata dell’impulso è comunemente impostata a 100 ms e la potenza va titolata in base alla risposta del tessuto trattato. Normalmente si inizia con potenze di 300 mW per angoli molto pigmentati o maggiore per angoli meno pigmentati e si incrementa di 50/100 mW finché non si osserva la comparsa di piccole bolle d’aria o di un lieve sbiancamento dei punti trattati, riducendo invece la potenza se questi fenomeni appaiono troppo marcati (Tabella 1).
Si sconsiglia di solito di direzionare lo spot molto posteriormente o di utilizzare potenze superiori a 1000 mW per l’aumentato rischio di sviluppare goniosinechie [congiungimento patologico della circonferenza dell’iride e della faccia interna della cornea, n. d. r.]. Poiché a causa dell’infiammazione indotta dal calore il trabecolato trattato potrebbe essere ipofunzionante nelle fasi successive alla procedura, si consiglia una profilassi con farmaci ipotonizzanti [(topici o sistemici) farmaci che abbassano il tono oculare sotto forma di collirio o per bocca, n. d. r.] ed il trattamento è normalmente limitato a 50 spot non confluenti su 180° a seduta. Anche se non è indicato il trattamento su 360°, la porzione di angolo tralasciata inizialmente, può essere trattata già dopo un mese, nel caso in cui non si ottenga un risultato soddisfacente.
Nel trattamento con Argon laser, la riduzione della resistenza al deflusso di umore acqueo sembra dovuta prevalentemente ad un effetto meccanico. Il target del laser è la melanina contenuta nelle cellule del trabecolato pigmentato: il calore generato provoca contrazione delle fibre di collagene circostanti, con conseguente allargamento degli spazi adiacenti.
Efficacia
L’ALT si è dimostrata in grado di ridurre la IOP del 30% in pazienti naïve con una pressione al baseline maggiore di 25 mmHg. Buona efficacia è stata dimostrata anche nei pazienti già in trattamento con farmaci ipotonizzanti topici (riduzione compresa tra 25 e 30%), mentre l’efficacia è risultata inferiore nei casi con una pressione di partenza più bassa [(Normal Tension Glaucoma) NTG, glaucoma a pressione normale, n. d. r.].
Rispetto alle altre tecniche di trabeculoplastica laser, l’effetto dell’ALT ha una durata minore: a 2 anni dal trattamento il tasso di successo è mediamente compreso tra il 70 e 80%, mentre a 5 anni la percentuale è inferiore al 50%. In caso di fallimento del trattamento primario, la procedura può essere ripetuta, con un beneficio decisamente minore, soprattutto se il primo trattamento era stato effettuato su 360°.
I principali effetti avversi correlati alla trabeculoplastica Argon laser sono: aumento transitorio della pressione intraoculare (>5 mmHg), formazione di sinechie periferiche anteriori (PAS), perdita di cellule endoteliali corneali ed uveite anteriore acuta. La frequenza e la gravità di questi effetti, in particolar modo per quanto riguarda i picchi pressori e la formazione di goniosinechie, sembra essere fortemente correlato con la potenza utilizzata durante il trattamento e il numero di spot applicati. Nella maggior parte dei casi, comunque, si tratta di fenomeni transitori che non lasciano esiti.
Selective Laser Trabeculoplasty (SLT)
Circa 15 anni dopo l’introduzione dell’ALT, nel 1995, è stata proposta per la prima volta la trabeculoplastica laser selettiva (SLT),sviluppata con l’intento di avere efficacia paragonabile, se non superiore, alla tecnica con Argon laser, riducendone gli effetti collaterali. Questa procedura sfrutta uno Q-switched Nd:YAG laser a frequenza raddoppiata, con una lunghezza d’onda di 532 micron, che genera impulsi di soli
3 nanosecondi di durata, prevenendo quindi la dissipazione di calore adiacente al trabecolato, riducendo quindi i danni collaterali.
La tecnica è diventata subito molto diffusa in quanto rapida e di facile esecuzione e si è rapidamente dimostrata efficace e sicura. Studi istopatologici hanno mostrato come ci siano meno cambiamenti strutturali a carico del trabecolato di occhi sottoposti a SLT rispetto a quelli sottoposti a ALT, facendo ipotizzare come per questa tecnica gli effetti biochimici e biologici abbiano un ruolo predominante rispetto a quello meccanico nell’aumentare il deflusso di umore acqueo.
Tecnica
La procedura è simile a quella dell’ALT. È consigliata una premedicazione con colliri ipotonizzanti topici (generalmente α2-agonisti) o sistemici (acetazolamide), anche se il rischio di picchi pressori è decisamente ridotto rispetto alla tecnica con Argon laser. Possono essere utilizzati colliri miotici [allo scopo di restringere la pupilla, n. d. r.] 15-20 minuti prima del trattamento per avere una migliore esposizione delle strutture angolari.
Dimensione dello spot e durata dell’impulso sono preimpostati a 400 micron e 3 nanosecondi rispettivamente e non modificabili. Le uniche variabili definibili dall’operatore sono quindi la potenza, numero di spot ed estensione dell’area trattata (Tabella 1).
Avendo lo spot una dimensione 8 volte superiore a quello dell’ALT, è sufficiente centrare la mira tra la linea di Schwalbe [un anello che costituisce la zona di transizione tra il tessuto corneale trasparente e quello del trabecolato bianco traslucido e funge da ancoraggio anteriore per maglie della rete trabecolare, n. d. r.] e lo sperone sclerale per far sì che l’impulso raggiunga la zona target, che restano le cellule contenenti melanina della porzione pigmentata del trabecolato (Figura 1).
Anche in questa tecnica la potenza va titolata in base alle caratteristiche dell’angolo irido-corneale e alla risposta del tessuto trattato: si parte normalmente da potenze di 0.6 mJ e si incrementa di 0.1 mJ fino alla comparsa di microbolle sulla zona trattata (Figura 2). Allo stesso modo la potenza va ridotta se si nota una contrazione del tessuto o una eccessiva formazione di bolle di grandi dimensioni. In caso di angoli con una marcata pigmentazione, potenze più basse possono essere sufficienti. Sebbene nello studio pilota di Latina e colleghi il trattamento veniva effettuato su 180° con 50 spot non sovrapposti, è stato poi dimostrato che anche il trattamento in un’unica seduta su 360° con 100 spot non confluenti può garantire una superiore efficacia senza esporre il paziente ad un aumentato rischio di effetti collaterali.
Figura 2 – Microbolle visibili superiormente allo spot laser in corso di trattamento di SLT
Terminato il trattamento il paziente va sottoposto ad una misurazione della pressione intraoculare normalmente 30 minuti dopo la procedura e può poi essere dimesso con una terapia antinfiammatoria topica per un periodo di 5-7 giorni. Non è stata dimostrata superiorità significativa degli antinfiammatori non steroidei rispetto a quelli steroidei, ma questi ultimi potrebbero essere associati a maggiori effetti collaterali in pazienti glaucomatosi.
Risultati
La trabeculoplastica laser selettiva ha mostrato un’efficacia paragonabile a quella dell’ALT ma più duratura. La riduzione media della pressione intraoculare in pazienti naïve è stata dimostrata essere compresa tra il 22 e il 30% a 6 mesi dal trattamento, per ridursi a circa il 25% a 3 anni e al 22% a 6 anni. Quando utilizzato nei pazienti già in terapia con colliri ipotonizzanti, con scompenso tonometrico, l’effetto del trattamento laser è chiaramente inferiore e simile a quanto riscontrato con ALT, con una riduzione massima della pressione intraoculare di circa il 25%.
D’altra parte, l’SLT può essere proposta in pazienti con pressione intraoculare ben controllata con terapia topica ma scarsamente complianti: è stato dimostrato che il 74% dei pazienti può ottenere una completa sospensione dei colliri, mentre il restante 26% una riduzione del numero di molecole utilizzate per almeno 18 mesi [26].L’efficacia della trabeculoplastica laser selettiva è stata consacrata da un grosso studio multicentrico i cui risultati sono stati pubblicati nel 2019, il LiGHT trial: 718 partecipanti con ipertono oculare o glaucoma sono stati randomizzati e sottoposti a trattamento laser o a terapia topica con latanoprost.
A distanza di 3 anni, Gazzard e colleghi hanno dimostrato che il 93% dei pazienti in terapia topica ed il 95% di quelli sottoposti a SLT erano nella target IOP e di questi ultimi il 74% non avevano bisogno di supplemento con colliri ipotonizzanti per mantenere la pressione sotto controllo. Inoltre, analizzando i campi visivi computerizzati ai quali gli stessi pazienti erano sottoposti durante ogni visita dello studio, è stato dimostrato che coloro i quali erano stati trattati con trabeculoplastica avevano una minore progressione del campo visivo rispetto a quelli in terapia topica, nonostante il buon controllo pressorio di entrambi i gruppi.
Rispetto alla procedura con Argon laser, la ripetibilità dell’SLT dà risultati nettamente migliori. Poiché il trattamento non provoca danni al trabecolato, quest’ultimo può essere ripetuto anche su aree già trattate. Diversi studi hanno dimostrato come ripetendo la procedura si possa ottenere una riduzione della pressione intraoculare solo lievemente inferiore a quella ottenuta con il primo trattamento, con una minore durata dell’effetto.
Gli effetti avversi riscontrabili in seguito a trabeculoplastica laser selettiva sono simili sia per tipologia che per entità a quelli conseguenti al trattamento con Argon laser, ad eccezione della formazione di sinechie periferiche anteriori, che sono molto più rare con SLT. Un transitorio aumento della pressione intraoculare (>5 mmHg) e una reazione infiammatoria in camera anteriore sono gli effetti avversi più comuni, con una frequenza del 28% e 83% rispettivamente, ma sono di solito lievi e di rapida risoluzione.
Micropulse Diode Laser Trabeculoplasty (MDLT)
Nel 2005 è stata descritta per la prima volta da Ingvoldstad e Willoughby una tecnica di trabeculoplastica che, sfruttando un laser a diodi micropulsato, sarebbe in grado di apportare gli stessi benefici della procedura con Argon laser, senza produrre effetto termico (come ALT) o alterazioni cellulari (come SLT).
Con questa tecnica gli impulsi del laser sono separati da intervalli temporali che permettono alle cellule pigmentate di tornare alla loro temperatura basale prima di ricevere un nuovo stimolo, in modo tale da minimizzare i danni collaterali. Come risultato di ciò, la MDLT non induce sbiancamento del tessuto, formazione di microbolle, contrazione delle strutture trattate o altri cambiamenti evidenti e anche l’infiammazione post-operatoria risulta ridotta.
La tecnica è analoga a quanto riportato per SLT: la dimensione degli spot è leggermente inferiore, 300 micron rispetto ai 400 micron di SLT (Figura 1), ed il trattamento è in genere focalizzato su 180° o 360° di trabecolato, con l’applicazione di 50 o 100 impulsi rispettivamente, a seconda dei protocolli utilizzati (Tabella 1). Durata e potenza assolute degli impulsi è decisamente maggiore se confrontata con ALT e SLT, ma le caratteristiche del laser micropulsato consentono di massimizzare l’effetto riducendo al minimo i danni collaterali.
Dai vari studi condotti su MDLT, risulta una riduzione media della pressione intraoculare in pazienti naïve [mai sottoposti ad alcun tipo di trattamento, n. d. r.] compresa tra il 18 e il 22%. Fino ad oggi solo pochi studi hanno confrontato efficacia e sicurezza di questa tecnica con ALT ed SLT e, sebbene il profilo di sicurezza della procedura con laser micropulsato sembra essere il migliore, l’efficacia è apparsa leggermente inferiore.
Conclusioni
La grande quantità di dati attualmente disponibili su ALT e SLT ci consente di utilizzare con fiducia queste tecniche in pazienti con ipertono oculare o glaucoma primario ad angolo aperto come terapia di prima linea o in associazione/sostituzione di terapia topica. SLT è inoltre ripetibile con buoni risultati ed ha dimostrato di ridurre le fluttuazioni diurne della pressione intraoculare, anche se l’effetto su quelle notturne non è ancora chiaro.
L’utilizzo di queste tecniche si è dimostrato vantaggioso anche da un punto di vista socioeconomico: il costo medio per il sistema sanitario di un paziente sottoposto a SLT o ALT è inferiore a quello di un paziente in monoterapia [terapia con un unico collirio, n. d. r] con farmaco brandizzato già dopo un anno dal trattamento e dopo 18-24 mesi in caso di farmaco generico.
La possibilità di eliminare o limitare l’utilizzo di farmaci topici ipotonizzanti con i loro effetti avversi sulla superficie oculare, nonché la possibilità di garantire un buon controllo della malattia bypassando problemi correlati alla compliance, sembra infine condurre ad un significativo miglioramento della qualità della vita dei pazienti sottoposti a trabeculoplastica laser.»
Lo studio LiGHT
Un articolo di Timothy Norris, dal sito EyeSee, ci informa che «Sono stati pubblicati il 9 Marzo [2019, n. d. r.] da The Lancet i risultati dello studio multicentrico, randomizzato e controllato LiGHT [“Laser in Glaucoma and Ocular Hypertension” di Gus Gazzard e colleghi, n. d. r.] che mette a confronto l’uso della Trabeculoplastica Selettiva Laser (SLT) e delle gocce oculari come trattamento di prima intenzione in pazienti con glaucoma o ipertensione oculare.
A tre anni, il laser risulta vincente in termini di efficacia nel controllo pressorio, a costi significativamente inferiori e con il beneficio aggiuntivo di un ridotta incidenza di effetti collaterali rispetto ai farmaci. Secondo gli autori, questi risultati porteranno a significativi cambiamenti nella pratica clinica e nelle politiche sanitarie in materia di glaucoma, supportando l’uso della SLT come prima scelta terapeutica in luogo dei farmaci. Lo studio, condotto al Moorfields Eye Hospital di Londra e in altri cinque centri ospedalieri del Regno Unito, ha preso in esame 718 pazienti randomizzati per il laser o il trattamento topico con analoghi delle prostaglandine. Il target pressorio, l’intensità del trattamento e gli intervalli di monitoraggio sono stati stabiliti per ciascun paziente in misura della gravità della patologia e della IOP al momento della diagnosi, riflettendo così le prassi quotidiane della pratica clinica.
A 3 anni, più dei tre quarti dei pazienti trattati con SLT hanno mantenuto i valori pressori stabiliti senza aggiunta di farmaci, e con un solo trattamento laser. La patologia è progredita in un minor numero di pazienti e in nessun caso è stato necessario un intervento chirurgico per deterioramento del campo visivo. Per contro, nel gruppo trattato farmacologicamente, 11 pazienti hanno subito una trabeculectomia. Anche l’incidenza di cataratta è risultata inferiore, a conferma di quanto emerso in studi precedenti sugli effetti catarattogenici [che inducono la formazione di cataratta, n. d. r.] dei farmaci per il glaucoma.
Gli autori dello studio ipotizzano che la superiore efficacia della SLT sia in larga misura legata ai ben noti problemi di aderenza alla terapia farmacologica. L’effetto prolungato prodotto dalla stimolazione del laser sul tessuto trabecolare garantirebbe inoltre una maggiore stabilità rispetto ai farmaci. Anche in termini di costo-efficacia sono emersi dallo studio significativi benefici nell’uso della SLT come trattamento di prima intenzione, con un risparmio per il servizio sanitario nazionale (NHS) di 451£ in costi diretti per paziente».
Tuttavia, a questi risultati entusiasmanti, si devono aggiungere alcune considerazioni: l’efficacia della SLT va dai tre anni a sei anni, come abbiamo già letto nell’articolo di Romano. Poi decresce per non funzionare più. Se si considera che sono sempre più in aumento i pazienti giovani con diagnosi recente di glaucoma (solo in Italia l’incidenza è del 2%), allora si può comprendere bene come l’impatto dell’efficacia di SLT – limitato a non più di sei anni – si dimostri abbastanza trascurabile nell’arco di un’intera vita. Certamente, i dati nel complesso si mostrano positivi ma anche del tutto insufficienti quando si fa anche solo riferimento a pazienti di mezza età.
EyeSee fa quindi il punto della situazione riportando un intervento del professor Stefano Gandolfi, ex direttore della Clinica Oculistica dell’Università di Parma, past president della Società italian glaucoma (Sigla), ex membro eletto della Glaucoma Research Society e della Glaucoma Association.
Il prof. Stefano Gandolfi
Scrive Gandolfi (l’uso del corsivo e del neretto sono miei):
«Un plauso agli autori dello studio, perché hanno riproposto in modo autorevole l’uso della SLT come trattamento di prima scelta. Nel 1990, Ophthalmology pubblicò i risultati del Glaucoma Laser Trial, in cui erano apparsi chiari i vantaggi del laser – l’ALT all’epoca – rispetto al timololo. Oggi abbiamo uno studio di pari dimensioni con l’utilizzo della SLT, l’evoluzione dell’ALT, paragonata a farmaci più attuali. Un update molto importante che di nuovo ci dice: consideriamo il laser come prima scelta!
Lo studio ha tuttavia due punti deboli. Innanzitutto il protocollo usato per il trattamento, che è poi quello standard, molto simile al vecchio protocollo dell’ALT: elevata potenza e risultato ottenuto principalmente per effetto termico, di deformazione del tessuto e aumento quindi del deflusso. La SLT era tuttavia nata con intenzioni diverse, come laser dall’impatto leggero, la cui energia viene assorbita solo dalle cellule pigmentate del trabecolato, che vengono energizzate e conducono ad una rigenerazione progressiva, lenta e a lungo termine. Un effetto biologico, quindi, e non meccanico.
La potenza elevata rischia di creare un effetto paradosso, inducendo un danno anziché ridare energia. La SLT a bassa potenza, ripetuta con cadenza annuale, è uno schema terapeutico che noi usiamo a Parma già dal 2000. I nostri dati confermano il successo di questo approccio, che perdura dopo più di 10 anni senza ricorso ai farmaci. […]
Quale sarà l’autorevolezza dello studio LiGHT nei vari scenari? Quanto sarà determinante nel modificare gli atteggiamenti e le scelte a livello di pratica clinica e di policies nei sistemi sanitari? Non lo sappiamo ancora. Certamente avrà un impatto importante nel Regno Unito. In Italia non credo. Chi ha già il laser avrà ulteriori argomenti a proprio favore, e lo userà un po’ di più, ma a mio parere la maggior parte dei medici continuerà ad usare le gocce, perché il laser non è uno strumento diffuso ancora, né nei centri pubblici né in quelli privati.
In conclusione, il significato strategico dello studio LiGHT è splendido, è andare a ricordare alla comunità medica che il laser fatto subito funziona meglio delle molecole che abbiamo attualmente, eliminando i problemi di compliance [osservanza da parte del paziente delle terapie prescritte, n. d. r.] e i penosi effetti collaterali dei farmaci. È anche ricordare che la SLT funziona infinitamente meglio se effettuata negli stadi precoci della malattia, e in occhi non trattati. Certo lo studio, come bene esprime il suo nome, fa luce su questi aspetti, ma qualche ombra c’è, e rimane ancora spazio per migliorare.»
Secondo Gandolfi, quindi, l’utilizzo di SLT a bassa potenza ha fornito esiti positivi sui pazienti per oltre dieci anni. La SLT funziona meglio in occhi che non hanno subìto trattamenti farmacologici, e questo è facilmente intuibile in quanto la tossicità dei colliri ipotonizzanti e dei loro eventuali conservanti ha effetti distruttivi anche sul trabecolato, un organo vitale deputato al deflusso dell’umore acqueo.
Tuttavia, anche in occhi trattati farmacologicamente e in stadi più avanzati della malattia glaucomatosa, la SLT ha mostrato di poter ancora funzionare, evitando così la necessità di ricorrere all’intervento chirurgico per un ulteriore abbassamento della IOP. La SLT inoltre ha mostrato di poter funzionare bene anche in occhi non trattati farmacologicamente con una perdita già avanzata del campo visivo al momento della diagnosi.
Il professor Gandolfi aveva già da tempo presentato alla comunità scientifica del glaucoma i risultati sorprendenti degli studi condotti a Parma, e precisamente al prestigioso ARVO del 2014.
Lo studio di Gandolfi e Ungaro
Nello studio retrospettivo pubblicato su Investigative Ophthalmology & Visual Science, a firma di Stefano Gandolfi e Nicola Ungaro, veniva rilevata la percentuale di successo (84%) sui pazienti trattati con SLT a bassa potenza rispetto a quelli trattati con potenza più elevata e crescente (47%) – oggi definita standard – e a quelli trattati con ALT (38%).
Infatti, quello che non è stato evidenziato nell’articolo che abbiamo riportato sopra, è come la procedura SLT non funzioni sempre su tutti i pazienti. Allora, al di là dei facili entusiasmi, occorrerebbe porsi quale obiettivo primario per il benessere dei pazienti il funzionamento di SLT sul maggior numero possibile di essi.
Ma la percentuale di successo non è l’unico dato importante. Perché da questo studio emerge anche come la SLT a bassa potenza funzioni significativamente più a lungo della SLT eseguita con la procedura standard, descritta nell’articolo di Romano. E anche della ALT eseguita a 360° una sola volta.
Lo studio di Gandolfi riporta come tempo medio per l’inizio della terapia medica 6,2 anni Gruppo A (SLT a bassa potenza), 3,3 anni nel Gruppo B (SLT a potenza crescente) e 3,5 anni nel Gruppo C (ALT).
Occorre sottolineare anche come la procedura utilizzata prevedeva allora 70-80 spot a 360°che poi sarebbero stati aumentati fino a 100 spot a 360° nella versione standard. La tecnica è quella elencata nell’articolo di Romano, ovvero SLT a 360°, 70-80 spot, potenza aumentata gradualmente fino a ottenere una “bolla d’aria”, per diminuire eventualmente di un livello, da ripetere PRN (o “al bisogno”) in caso di fallimento a lungo termine.
La procedura a bassa potenza a 360° invece prevedeva una potenza di 0,4 mJ con 50-60 spot, ripetuta annualmente indipendentemente dalla pressione intraoculare, secondo quanto ci riporta lo studio di Gandolfi e Ungaro.
Nessun aumentato rischio a carico del paziente per la procedura standard con 100 spot su 360°rispetto a quella originaria prevista da Latina e colleghi nello studio pilota che prevedeva 50 spot non sovrapposti su 180°. Nell’articolo di Romano viene citato in proposito un RCT, cioè uno studio clinico controllato e randomizzato. Ne abbiamo già parlato nel nostro articolo precedente: RCT, randomized controlled trial, un tipo di studio clinico che miri a ridurre i bias (in statistica, distorsione) durante la sperimentazione di un nuovo trattamento.
Lo studio in questione è: S. Goyal et al., “Effect of primary selective laser trabeculoplasty on tonographic outflow facility: A randomised clinical
trial,” British Journal of Ophthalmology, vol. 94, no. 11, pp. 1443-1447, Nov. 2010, doi: 10.1136/bjo.2009.176024.
Ma può essere sufficiente un unico studio in merito? E anche se esistessero altri studi clinici controllati randomizzati sull’argomento, sarebbero comunque sufficienti a garantire la totale sicurezza ed efficacia per il paziente?
Aumentare il numero degli spot e soprattutto incrementare la potenza fino al raggiungimento delle bolle di aria, per diminuire eventualmente di un livello, è la prassi migliore a beneficio dei pazienti?
Se la risposta è sì, allora dobbiamo necessariamente constatare che possiamo disporre di una grande quantità di dati che potrebbero mettere almeno in discussione tale affermazione, benché le linee guida europee indichino la tecnica SLT standard come quella da eseguire su tutti i pazienti.
La possibilità di complicazioni dopo la trabeculoplastica laser selettiva
La trabeculoplastica laser selettiva standard è in genere gravata da complicazioni di carattere lieve e transitorio; l’incidenza di gravi complicazioni che mettono a rischio la vista è molto più rara rispetto alla convenzionale chirurgia oculare. Questo occorre sottolinearlo.
Tuttavia, sebbene raramente, si è verificata nel tempo una serie di casi seguiti da complicazioni dopo SLT di routine, che hanno provocato danni permanenti a carico dell’occhio (o degli occhi) trattato (trattati).
Già nel 2014 uno studio di Jared E. Knickelbein e colleghi segnalava «4 casi di edema corneale acuto con successivo assottigliamento e spostamento ipermetropico a seguito di trabeculoplastica laser selettiva di routine per il trattamento del glaucoma primario ad angolo aperto. Quattro donne di 3 siti clinici avevano sviluppato edema corneale acuto e foschia entro 2 giorni da SLT senza incidenti. Nelle settimane o mesi successivi, tutte le cornee si sono assottigliate fino a raggiungere spessori inferiori a quelli pre-procedura con conseguenti spostamenti ipermetropici di circa 2,0 diottrie (D) a oltre 6,0 D. Tutti gli occhi erano da moderatamente a fortemente miopi prima della SLT(equivalente sferico da -5,00 a -12,5 D). L’acuità visiva corretta per distanza da 6 a 11 mesi dopo la SLT era entro 2 linee di Snellen dall’acuità pre-procedura in tutte le pazienti; 2 pazienti hanno necessitato di lenti a contatto».
Figura 1. Fotografie alla lampada a fessura della cornea della paziente uno a 5 giorni ( A ) e 14 giorni ( B ) dopo SLT
Gli esiti permanenti nelle quattro pazienti trattate con SLT, da quanto si può evincere, si sono tradotti nella perdita permanente di spessore corneale e nella perdita permanente di acuità visiva corretta a distanza entro due linee di Snellen. Inoltre si è verificato un aggravamento dell’ipermetropia oltre le 6 diottrie.
Ma questi non solo i soli casi del genere segnalati.
Un altro studio di Ana Elisa Loyola Arancibia e colleghi del 2021 segnala «il caso non comune di una donna di 47 anni che si è presentata con visione offuscata e lieve edema corneale e foschia dopo la SLT di routine. Dieci giorni dopo, l’edema corneale si è risolto, ma la paziente era ancora sintomatica. L’esame di rifrazione ha rivelato uno spostamento ipermetropico significativo e un astigmatismo elevato (+4,00–6,00 x 80° rispetto a -11,50 -0,75 x 170° al basale). L’imaging Scheimpflug ha rivelato un collasso parziale dell’architettura corneale, con un appiattimento della cornea centrale (>10 diottrie) e un assottigliamento (>190μm). Nel giro di sei mesi, i parametri rifrattometrici e corneali sono tornati gradualmente (ma non completamente) ai loro valori pre-operatori.
Questa tetrade di riscontri clinici – spostamento ipermetropico, foschia corneale, appiattimento e assottigliamento – a seguito di SLT è qui definita dagli autori come cheratopatia selettiva indotta da trabeculoplastica (STIK), che è una complicazione rara ma grave. Un’analisi critica basata sui riscontri di questo caso e sui pochi altri finora segnalati suggerisce che i pazienti con miopia elevata sono più predisposti a questa complicazione, poiché tutti i casi segnalati avevano -5,0 diottrie o più. Sono giustificati studi futuri per determinare se questa complicazione può essere prevenuta».
Ancora, nel 2011, sono stati segnalati «due casi di edema, offuscamento e assottigliamento della cornea in pazienti sottoposti a trabeculoplastica laser selettiva.
Metodi: La trabeculoplastica laser selettiva è stata eseguita per il trattamento del glaucoma primario ad angolo aperto su 2 pazienti che hanno successivamente sviluppato un’opacità stromale corneale entro 24-48 ore dalla procedura.
Risultati: I pazienti sono stati trattati con steroidi topici per diverse settimane. Sebbene l’edema corneale si sia risolto, entrambi i pazienti hanno riportato cicatrici e assottigliamento corneale residui. Un paziente ha avuto un significativo spostamento ipermetropico».
Occorre sottolineare che le cicatrici sulla cornea possono mettere seriamente a rischio la vista, così come un assottigliamento eccessivo della cornea. Inoltre, ciò può pregiudicare anche la possibilità futura di ricorrere in sicurezza a interventi di chirurgia oculare che comportano di per sé una riduzione della conta delle cellule endoteliali della cornea.
Danny Y. Kim e colleghi hanno riportato un caso di irite grave e versamento coroideale su un paziente con glaucoma primario ad angolo aperto. Zi Qiang Wu e colleghi hanno riportato due casi di edema maculare cistoide avvenuti a distanza di poche settimane dalla trabeculoplastica laser selettiva di routine. In un caso l’edema maculare cistoide è persistito per mesi, anche se nei due casi acuità visiva e spessore maculare sono tornati ai valori basali dopo il trattamento medico. Questo indica anche che l’edema maculare cistoide sviluppato dopo SLT può essere resistente al trattamento.
F. Hernández Pardines e colleghi hanno riportato un caso di versamento coroideale bilaterale su una donna di 73 anni con glaucoma ad anglo aperto non controllato dopo SLT. Douglas J. Rhee e altri hanno riportato un caso di ifema notato 3 giorni dopo la trabeculoplastica laser selettiva in una donna di 77 anni con glaucoma primario ad anglo aperto.
Wisam A. Shihadeh e colleghi hanno riportato un caso di ifema su un uomo di 77anni verificatosi durante la trabeculoplastica laser selettiva in un occhio senza neovascolarizzazione. «L’ifema e il sanguinamento possono verificarsi durante la SLT, si consiglia un attento monitoraggio della pressione intraoculare e della reazione della camera anteriore dell’occhio.»
D’altronde, basterà fare un giro sul web per accorgersi come la SLT eseguita a potenza standard abbia provocato anche serie complicazioni: a una donna, la quale aveva già perso la vista da un occhio ipovedente dalla nascita a seguito di trabeculectomia, rimaneva ancora l’altro con una vista di dieci decimi corretti. Nel luglio 2014 la signora sperimentava dopo SLT standard un notevole rialzo della pressione intraoculare (43 mmHg) con edema corneale, offuscamento della vista e sospetta trabeculite (infiammazione del trabecolato) con persistente innalzamento della pressione intraoculare anche dopo terapia medica.
Gli effetti antinfiammatori e rigenerativi della terapia laser a bassa potenza
Alexandre de Carvalho Mendes Paiva e colleghi, hanno voluto porre alla comunità scientifica per il glaucoma una domanda importante: gli effetti avversi e le complicazioni della trabeculoplasica laser selettiva potrebbero essere ridotti dalla terapia laser a bassa potenza?
Lo studio risulta davvero interessante ai fini della mia esposizione, eccolo quindi per intero (il corsivo e il neretto è mio):
«La trabeculoplastica laser selettiva (SLT) è stata utilizzata per il trattamento del glaucoma primario ad angolo aperto, dell’ipertensione oculare, del glaucoma pigmentario e pseudoesfoliativo, essendo considerata una procedura a basso rischio. Pertanto, sono stati segnalati effetti avversi transitori e permanenti, tra cui cambiamenti corneali, edema subclinico e riduzione delle cellule endoteliali e dello spessore corneale centrale.
Sebbene rare, gravi complicazioni corneali dopo SLT possono essere permanenti e portare a compromissione della vista, foschia corneale centrale, opacità e restringimento. Il meccanismo comporta l’aumento di citochine vasoattive e chemiotattiche che causano infiltrato infiammatorio, distruzione del collagene stromale da parte dei fibroblasti e aumento delle metalloproteinasi della matrice di tipo 2, che compromettono la riepitelizzazione.
La SLT aumenta anche la produzione di radicali liberi e riduce gli enzimi antiossidanti, con conseguenti danni all’endotelio. La terapia laser a bassa potenza (LPLT) è stata utilizzata nella medicina rigenerativa in base ai suoi effetti biostimolatori e antinfiammatori.
La biostimolazione avviene tramite l’interazione dei fotoni laser con l’enzima citocromo C ossidasi, che attiva cascate biochimiche intracellulari che causano la sintesi di numerose molecole correlate a effetti antinfiammatori, rigenerativi, sollievo dal dolore e riduzione dell’edema.
È stato dimostrato che LPLT riduce l’espressione genica correlata alle citochine pro-infiammatorie e alle metalloproteinasi della matrice e aumenta l’espressione dei fattori di crescita correlati alle sue azioni proliferative e curative. Sebbene le radiazioni emesse dai laser a bassa potenza siano considerate sicure e in grado di indurre effetti terapeutici, le ricerche basate su modelli sperimentali per il glaucoma potrebbero portare dati importanti se LPLT potesse essere un approccio alternativo per migliorare l’accettazione per i pazienti sottoposti a SLT.»
Con questo interessantissimo studio, pubblicato su PubMed nel 2019, ci riallacciamo idealmente alle parole di Stefano Gandolfi pronunciate nel corso dell’intervista riportata sopra. Viene sottolineata qui l’importanza e l’efficacia del laser a bassa potenza per i suoi “effetti antinfiammatori e rigenerativi”, oltre che di “sollievo dal dolore” e addirittura “riduzione dell’edema”.
E non solo.
Lo studio cinese sull’efficacia e sicurezza di SLT a bassa potenza conferma i risultati ottenuti dal prof. Stefano Gandolfi
Un altro studio cinese, di Li Xu e colleghi, pubblicato su PubMed nel 2019, ci informa su: «Efficacia della trabeculoplastica laser selettiva a bassa energia nel trattamento del glaucoma primario ad angolo aperto».
Riportiamo di seguito alcuni interessanti estratti dell’articolo (il corsivo e il neretto sono miei):
«Nella procedura tradizionale per SLT, l’energia dovrebbe essere regolata in diverse zone dell’angolo per adattarsi alla quantità di pigmentazione. Poiché l’operatore potrebbe tentare di farlo più volte durante la regolazione, alcune aree di TM potrebbero ricevere energia laser extra. In questo studio, abbiamo utilizzato un’impostazione di energia bassa e stabile per semplificare la procedura laser di SLT. Abbiamo ipotizzato che SLT a bassa energia potesse essere sicura, efficace e comoda nei pazienti cinesi POAG [glaucoma primario ad angolo aperto, n. d. r]. […] […]
Il livello di energia iniziale è stato impostato a 0,3 mJ e il livello di energia è rimasto stabile durante il trattamento. Sono stati registrati il numero totale di spot e la quantità totale di energia utilizzata per ciascun occhio. […]
Poiché il POAG è più diffuso negli Stati Uniti e nei paesi europei che in Asia, meno studi hanno valutato l’efficacia della SLT nei pazienti asiatici con POAG. Shibata et al hanno confrontato la SLT a 180 gradi con la SLT a 360 gradi in pazienti giapponesi utilizzando l’energia di 0,8-1,4 mJ. L’energia totale utilizzata era di 73±29 mJ e 125±30 mJ rispettivamente nella SLT a 180 gradi e 360 gradi. Il successo della SLT è stato anche definito come una riduzione della pressione intraoculare maggiore o uguale al 20% senza ulteriori procedure per il glaucoma.
Laser SLT YAG Lightmed Selector Deux, cavità laser Superior Crystal-Q Switch
Nei casi che hanno ricevuto SLT a 360 gradi, il tasso di successo è stato del 46% a 1 anno e del 29% a 2 anni. Nei casi di SLT a 180 gradi, il tasso di successo è stato del 25% a 1 anno e del 22% a 2 anni. Nel 2015, uno studio di coorte a Hong Kong ha riportato un’energia SLT ottimale per la massima riduzione della pressione intraoculare nel glaucoma ad angolo aperto. Ha mostrato che un’energia totale tra 214,6 e 234,9 mJ ha ridotto significativamente la pressione intraoculare >25% con un’energia totale ottimale di 226,1 mJ .
Nel nostro studio, i tassi di successo a 1 e 2 anni sono stati rispettivamente del 61,7% e del 55,2%, che erano superiori ai tassi di successo riportati per SLT a 360 gradi e 180 gradi. Poiché la nostra energia totale era molto inferiore alle energie riportate, la nostra procedura di SLT a bassa energia è stata efficace anche per i pazienti con POAG.
Tradizionalmente, l’energia iniziale di SLT è impostata a 0,7-0,8 mJ, e poi regolata in base alla risposta fino alla formazione di bollicine di champagne. A questo punto, l’energia laser viene ridotta di 0,1 mJ per il trattamento. Il livello di energia è stato ulteriormente regolato in diverse zone dell’angolo per adattarsi alla quantità di pigmentazione in diverse aree. L’operatore può tentare più volte di trovare l’energia adatta di SLT in ogni diversa area dell’angolo, il che potrebbe richiedere molto tempo e potrebbe causare danni extra alla TM [rete trabecolare o trabecolato, n. d. r.].
Nel nostro studio, abbiamo impostato un livello di energia laser iniziale inferiore a 0,3 mJ per studiare l’effetto e la sicurezza di SLT sul trattamento di pazienti cinesi con POAG. Poiché il livello di energia era stabile durante il trattamento, la durata temporale di SLT è stata ridotta. I nostri risultati hanno mostrato una pressione intraoculare ben controllata dopo SLT a bassa energia entro 2 anni. La procedura laser semplificata può spiegare l’alto tasso di successo di SLT a bassa energia.
Non sono state osservate gravi complicazioni in nessuno dei pazienti del nostro studio. Ciò ha evidenziato la sicurezza della SLT a bassa energia (energia iniziale pari a 0,3 mJ) per i pazienti con POAG.»
Lo studio cinese conferma dunque i risultati pluridecennali sull’efficacia e la sicurezza della SLT a bassa potenza sui pazienti con POAG. Inoltre si sottolinea nel corso di questo studio un altro aspetto molto importante: come la SLT a potenza standard, con impostazioni che partono da 0,7 a 0,8 mJ fino alle formazione di bollicine di champagne, già descritta nel lavoro di Romano citato sopra, possa causare danni supplementari al trabecolato (TM).
I danni causati al trabecolato infatti si rivelano di importanza strategica sul funzionamento della SLT nel tempo. E non solo. I danni inflitti al trabecolato potrebbero rivelarsi una discriminante importante nella gestione a lungo termine del glaucoma ad angolo aperto.
Trabeculoplastica laser selettiva a bassa energia ripetuta annualmente: motivazioni per lo studio COAST
Esiste uno studio del 2021 recante la firma di quattro oftalmologi: Tony Realini, Gus Gazzard, Mark Latina e Michael Kass, che a mio avviso è di estrema importanza. Uno degli autori dello studio è il già citato Latina che insieme a Park sviluppò la SLT nel 1995. I corsivi e il neretto presenti nel corpo del testo sono miei.
Nell’abstract dello studio si parla del prof. Stefano Gandolfi e dello «studio retrospettivo condotto sui suoi pazienti presso l’Università di Parma, Italia, in cui un regime di trabeculoplastica laser selettiva a bassa energia (SLT) ripetuto annualmente indipendentemente dalla pressione intraoculare (IOP) ha prodotto una sopravvivenza libera da farmaci significativamente più lunga rispetto alla SLT standard ripetuta secondo necessità, in pazienti con glaucoma primario ad angolo aperto (POAG) o ipertensione oculare ad alto rischio (OHTN).»
Vengono riportati i dati a cui abbiamo già accennato:
«Nello specifico, gli occhi con POAG di nuova diagnosi sono stati trattati principalmente con ALT 360° eseguita una volta, SLT standard 360° ripetuta secondo necessità a energia standard e SLT a bassa energia 360° (0,4 mJ/spot x 50-60 spot) ripetuta annualmente a bassa energia indipendentemente dalla IOP. Dopo 10 anni di follow-up, i tassi di assenza di farmaci erano del 22,6% nel gruppo ALT, del 25,0% nel gruppo SLT standard e del 58,3% nel gruppo SLT a bassa energia (p<0,001). I tempi mediani per la somministrazione dei farmaci erano rispettivamente di 2,8 anni, 3,2 anni e 6,2 anni.
Alla luce della recente pubblicazione di Laser in Glaucoma and Ocular Hypertension Trial (LiGHT), in cui è stato dimostrato che la SLT primaria è almeno efficace quanto la terapia medica nei pazienti con POAG lieve-moderato di nuova diagnosi e non sottoposti a trattamento o OHTN ad alto rischio e della probabilità di un cambiamento di paradigma verso un regime laser-first, i dati di Gandolfi hanno suggerito che l’utilità a lungo termine della SLT nella gestione del glaucoma potrebbe essere migliorabile modificando il livello di energia e la frequenza con cui viene eseguita la SLT.
Queste osservazioni intriganti ci hanno portato a condurre una revisione completa della letteratura SLT alla ricerca di una base per la plausibilità biologica di tale approccio. I risultati di tale revisione della letteratura, riassunti qui, hanno spinto a presentare domanda al National Eye Institute (NEI) presso i National Institutes of Health per il finanziamento di una coppia di studi randomizzati multicentrici per valutare i risultati di SLT eseguiti annualmente a bassa energia.
Questi studi, denominati collettivamente studio Clarifying the Optimal Application of SLT Therapy (COAST), sono stati finanziati alla fine del 2020 da NEI per confrontare SLT primaria standard rispetto a bassa energia e SLT ripetuta annuale rispetto a pro re nata [al bisogno, n. d. r.] (PRN) e sono attualmente nella fase di pre-arruolamento. In questo rapporto, condividiamo il background e la logica che hanno informato la progettazione dello studio COAST. […] […]
Il team di ricerca COAST crede fermamente che i risultati dello studio LiGHT e l’effetto della sua pubblicazione sull’innalzamento del livello di discussione riguardo al ruolo della SLT nella gestione del glaucoma, porteranno a un cambiamento di paradigma in cui la SLT diventa la terapia di prima linea preferita per il glaucoma. Abbiamo progettato la sperimentazione COAST per ottimizzare la tecnica SLT in modo da ottimizzare i risultati clinici.
Nelle figure sotto: il trabecolato (TM) non trattato con SLT esaminato al microscopio ottico ha rivelato fasci intatti di tessuto trabecolare. La TEM ha mostrato una struttura TM non uniforme con cellule endoteliali trabecolari intervallate e granuli di pigmento intatti (Figura 1) e la SEM ha rivelato fasci trabecolari intatti (Figura 2)
Figura 1. TEM del TM non trattato che mostra cellule endoteliali trabecolari intatte e spazi intertrabecolari
Figura 2. Immagine SEM del tessuto non trattato che mostra fasci trabecolari regolari e intatti
La SLT standard provoca danni alla TM
Il livello di energia a cui è stata eseguita la trabeculoplastica si è evoluto nel tempo e potrebbe non essere ancora ottimizzato. ALT ha utilizzato una piattaforma laser ad argon ad alta energia ed era composta da circa 80-100 spot di trattamento distanziati di circa 4 larghezze di spot attraverso i 360° completi del trabecolato [TM o rete trabecolare, n. d. r.] o 40-50 spot su 180°. ALT ha causato la distruzione coagulativa e contrattile focale della TM e presumibilmente ha abbassato la IOP [pressione intraoculare, n. d. r.] tramite effetti indiretti sul tessuto TM intermedio non trattato attraverso meccanismi meccanici, biochimici e/o cellulari. Il danno cumulativo alla TM ha infine compromesso il controllo della IOP con ALT ripetuta poiché una massa critica del TM è stata distrutta e ne è rimasta troppo poca per consentire il deflusso acquoso. Infatti, ALT ripetuta a volte ha prodotto aumenti paradossali della IOP (presumibilmente dovuti al danno coagulativo cumulativo al percorso di deflusso trabecolare) che spesso hanno richiesto un intervento chirurgico. […]
Figura 3. Immagine TEM del tessuto trattato con ALT (300 mW) che mostra la rottura delle cellule trabecolari con granuli di pigmento extracellulare
Figura 4. Immagine SEM del tessuto trattato con ALT (300 mW) che mostra la formazione di crateri e danni coagulativi
SLT utilizza la piattaforma laser Nd:YAG Q-switched, a frequenza raddoppiata, ed è composta da circa 100 spot di trattamento contigui non sovrapposti su tutti i 360° della TM. Ora, due decenni dopo la sua commercializzazione, SLT viene eseguita quasi esclusivamente come descritto per la prima volta da Latina e colleghi nel 1998: a partire da 0,8 mJ, l’energia viene titolata durante i primi punti di trattamento all’impostazione più bassa che produce ancora bolle di cavitazione delle dimensioni di champagne, quindi ridotta di altri 0,1 mJ per il trattamento rimanente.
Questo approccio ormai standard non si basa sull’equilibrio ottimale di efficacia e sicurezza come potrebbe essere derivato da studi clinici tradizionali sulla dose-risposta, ma è stato piuttosto descritto sulla base di osservazioni di assorbimento ottimale dell’energia laser da parte di cellule TM coltivate in vitro.
La fluenza energetica erogata con SLT è diverse migliaia di volte inferiore rispetto ad ALT, il che riduce ma non elimina il danno coagulativo al tessuto reticolare. Kramer e Noecker hanno riferito che mentre SLT ha causato danni molto inferiori alla TM rispetto ad ALT, c’erano comunque prove ultrastrutturali di interazione laser-tessuto che includevano la rottura dei granuli di pigmento intracitoplasmatici e la rottura delle cellule endoteliali trabecolari negli occhi [prelevati da cadaveri, n. d. r.] delle banche degli occhi.
Wood e colleghi hanno dimostrato nelle cellule TM bovine coltivate che SLT nell’intervallo di energia standard (0,75-1,0 mJ) ha causato una rapida morte cellulare necrotica entro 1-8 ore e ha rimandato la morte cellulare apoptotica [processo di morte programmata di una cellula, n. d. r.] entro 2-3 giorni dopo l’irradiazione laser.
In tre occhi umani programmati per enucleazione non correlata [asportazione di una neoplasia senza correlazione, n. d. r.], è stato anche documentato un danno istologico alla TM a seguito di SLT a energia standard (media 0,7 mJ/spot) che era identico per natura, ma meno grave, del danno prodotto da ALT: disorganizzazione e frammentazione delle cellule TM, rottura del fascio trabecolare e detriti tissutali negli spazi intertrabecolari.
Figura 5. TEM del tessuto trattato con SLT (0,7 mJ). Si notano granuli di pigmento extracellulari screpolati
Figura 6. SEM del tessuto trattato con SLT (2,0 mJ). Notare la distruzione dei fasci trabecolari con scorrimento del tessuto ai bordi delle aree trattate
Negli occhi di cadaveri umani trattati con SLT a un intervallo di energia, la microscopia elettronica a trasmissione ha rivelato cellule TM interrotte con granuli di pigmento extracellulare e screpolati; a un’energia SLT più elevata, la microscopia elettronica a scansione ha rivelato la distruzione della TM con scorrimento dei fasci trabecolari.
Questi risultati hanno portato i ricercatori a chiedersi se l’endpoint [il traguardo, n. d. r.] del tessuto con “bolla di champagne” rappresenti una cura ottimale e hanno postulato un ruolo per la SLT a bassa energia.
Problemi di sicurezza con SLT standard
Sebbene la SLT sia generalmente considerata una procedura sicura, possono verificarsi complicazioni postoperatorie. L’infiammazione transitoria della camera anteriore è comune (incidenza 30-83%) ma in genere si risolve rapidamente senza sequele. I picchi di IOP post-laser si verificano fino al 27% degli occhi. Tuttavia, ciò sembra essere molto meno comune quando la SLT viene eseguita come terapia primaria; nello studio LiGHT, solo un singolo caso, su 776 trattamenti SLT, ha sperimentato un picco di IOP che ha richiesto una terapia medica. Le complicazioni della SLT che mettono a rischio la vista sono estremamente rare. Di recente, diversi casi clinici e piccole serie di casi hanno identificato una varietà di complicazioni corneali della SLT potenzialmente pericolose per la vista. Questi includono riduzioni a breve termine della densità delle cellule endoteliali, edema corneale (fino allo 0,8% degli occhi trattati) complicato in alcuni casi da astigmatismo irregolare, scompenso e riduzione permanente dell’acuità visiva, cheratite e assottigliamento corneale con spostamenti permanenti dell’ipermetropia fino a 6D.
Prove di una relazione dose-risposta di SLT
La SLT può essere eseguita a un livello di energia inferiore e fornire comunque l’efficacia ottenuta con l’energia standard? Diversi studi che cercano di identificare i fattori associati al successo/fallimento della SLT hanno incluso misure della dose laser (energia totale, numero di spot, energia per spot, ecc.) e in genere non hanno trovato prove di un effetto dose-risposta sulla riduzione della IOP.
Questi studi sono tuttavia limitati in quanto ogni studio ha fornito SLT standard in tutti gli occhi e la SLT standard viene eseguita in modo tale da eliminare una relazione dose-risposta. Una relazione dose-risposta esiste quando una serie eterogenea di dosi produce una serie eterogenea di risposte che sono correlate in modo non casuale. Nella SLT standard, una dose eterogenea di energia viene somministrata alla TM ma è titolata per produrre una risposta tissutale standardizzata (bolle di cavitazione simili a champagne) che a sua volta rappresenta probabilmente una dose omogenea di energia assorbita dal tessuto.»
Dunque, e questo appare di capitale importanza, l’energia nella SLT viene titolata per produrre una risposta dei tessuti colpiti (le bolle di champagne, che devono comparire); questi tessuti assorbono quindi una dose omogenea di energia ma nulla ha a che vedere con la relazione dose-risposta della TM in termini di abbassamento della pressione intraoculare. Si afferma poco dopo infatti che:
«Questo approccio è progettato per negare una relazione dose-risposta.»
«Studi comparativi che variano l’estensione dell’angolo trattato con SLT hanno prodotto risultati contrastanti. Due studi clinici randomizzati (RCT) hanno dimostrato che 90° e 180° di SLT standard hanno prodotto un’efficacia simile a quella di 360° SLT standard, mentre un terzo RCT ha mostrato un effetto dose-risposta con maggiori riduzioni della IOP ma commisurate a più dolore, infiammazione e picchi di IOP quando è stato trattato un angolo maggiore.
Studi retrospettivi hanno anche mostrato un’efficacia limitata con il trattamento a 180° rispetto al trattamento a 360°. Il posizionamento di 100 punti di trattamento su 180° ha avuto il doppio del tasso di fallimento di 50 punti standard/180° in uno studio retrospettivo, dimostrando che di più non è necessariamente meglio.
Pochi studi hanno confrontato specificamente più livelli di energia direttamente in modalità testa a testa. Wong e colleghi hanno valutato retrospettivamente i risultati della SLT eseguita prima e dopo un cambio di schema di pratica in cui gli occhi hanno ricevuto 120 spot (prima) o 160 spot (dopo) di energia standard 360° SLT; la IOP media e la sopravvivenza alla IOP target erano statisticamente simili tra i gruppi, indicando che non c’era alcun beneficio percettibile per una maggiore energia totale erogata.
È stato suggerito che un laser a bassa energia ridurrebbe probabilmente il profilo degli eventi avversi della SLT con un impatto minimo sull’efficacia. Due studi prospettici hanno confrontato la SLT standard con la SLT a bassa energia. Zhang e colleghi hanno confrontato la SLT standard con la SLT eseguita a 2/3 dell’energia standard (ma non sono riusciti a definire come questo basso livello di energia fosse stato stabilito per ciascun occhio). Non sono state osservate differenze nella IOP media a 12 mesi […].
Tang e colleghi hanno confrontato in modo prospettico la SLT standard e ½ energia standard (nuovamente senza descrivere cosa costituisse ½ energia standard per ciascun occhio) e hanno riscontrato una riduzione media simile della IOP tra i gruppi ma meno eventi avversi nel gruppo a bassa energia.
La riduzione degli eventi avversi con energia inferiore è coerente con i risultati di uno studio sull’energia SLT variabile (0,05 – 1,0 mJ) applicata a cellule del trabecolato coltivate che non hanno trovato prove istologiche di danno cellulare a energie inferiori a 0,75 mJ e anche a uno studio simile che non ha trovato cambiamenti morfologici o alterazioni nell’espressione dei geni dell’apoptosi o della necrosi a ≤0,5 mJ.
Questi studi presentano una serie di limitazioni significative. La maggior parte sono retrospettivi, non controllati, condotti in singoli centri da singoli chirurghi, hanno piccole dimensioni del campione senza ipotesi a priori o calcoli di potenza e dimensione del campione e la maggior parte combina casi SLT primari e aggiuntivi.
Tuttavia, sebbene non definitivi a causa delle loro limitazioni, i risultati di questi studi suggeriscono cumulativamente che l’energia superiore all’energia SLT standard non migliora l’efficacia ma aumenta il rischio di eventi avversi, mentre l’energia inferiore all’energia SLT standard fornisce una riduzione della IOP comparabile riducendo anche il tasso di eventi avversi.
Anatomia delle camere anteriore e posteriore dell’occhio (da “Enciclopedia Medica Italiana”, USES)
Danni cumulativi con SLT ripetuti
L’efficacia e la sicurezza della SLT ripetuta, almeno nella misura in cui viene eseguita una singola SLT ripetuta, sono state ora definitivamente stabilite. Nel contesto di un approccio basato sulla SLT per la gestione a lungo termine del POAG, consistente in SLT primaria ripetuta secondo necessità, potrebbe esserci un limite massimo al numero di volte in cui la SLT può essere ripetuta prima che il danno cumulativo alla TM derivante sia dal processo di glaucoma sottostante sia dai trattamenti multipli di SLT riduca la reattività della TM a ulteriori trattamenti di SLT.
Preservare o salvare
La patogenesi del glaucoma comprende la compromissione della funzione TM con riduzione della cellularità, riduzione della capacità di deflusso trabecolare e aumento della IOP. Il meccanismo generale con cui SLT abbassa la PIO è aumentando la capacità di deflusso e quindi aumentando l’uscita acquosa dall’occhio tramite la via di deflusso trabecolare. […]
Nel contesto di compromissione della TM da glaucoma con IOP elevata, la SLT può essere considerata per salvare la funzione delle cellule TM compromesse e ripristinare il deflusso acquoso attraverso la via trabecolare, abbassando la IOP. Poiché la SLT non influisce sul processo della malattia del glaucoma sottostante, la compromissione della TM correlata al glaucoma si ripresenta nel tempo, manifestandosi clinicamente come aumento della IOP nel tempo.
La SLT ripetuta può nuovamente salvare le cellule TM compromesse, migliorando ancora una volta il deflusso trabecolare e abbassando la IOP. È probabile che vi sia un numero finito di tali cicli che la TM può attraversare prima che il danno cumulativo al tessuto TM sia dal processo della malattia del glaucoma sottostante sia dagli effetti coagulativi della SLT limiti la successiva reattività della TM alla successiva SLT.
Nel cercare una strategia per ottimizzare ed estendere la reattività dei pazienti alla SLT nel tempo, con l’obiettivo di estendere la sopravvivenza libera da farmaci, il lavoro clinico preliminare di Gandolfi supporta l’ipotesi che la SLT a bassa energia possa aumentare il possibile numero di tali cicli riducendo al minimo il danno cumulativo alla TM causato dalla SLT […].
Riepilogo e rilevanza clinica
Per riassumere, ipotizziamo nello studio COAST, sulla base dello studio proof-of-concept di Gandolfi e della plausibilità biologica basata sulle prove, che la SLT a bassa energia, ripetuta annualmente indipendentemente dalla IOP, possa ridurre il danno cumulativo alla TM correlato alla SLT e al glaucoma, preservando così la reattività della TM alla SLT ed estendendo la durata di cui la SLT può mantenere il controllo del glaucoma e prevenire o ritardare la necessità di farmaci o interventi chirurgici. Se la nostra ipotesi si rivelasse corretta, i risultati avrebbero una grande importanza nella gestione dei nostri pazienti con glaucoma. […]»
Risparmiare il trabecolato
Secondo quanto ha riportato sul suo sito l’oftalmologo americano David Richardson nel 2021, «al momento, due classi di interventi chirurgici per il glaucoma stanno guadagnando consensi tra i chirurghi della cataratta e del glaucoma: la trabeculotomia transluminale assistita da gonioscopia (GATT) e la trabeculotomia ab-interno (AIT). Sono attualmente popolari tra i chirurghi oculisti in quanto queste procedure richiedono una formazione o abilità aggiuntive minime, sono veloci da eseguire, sono ben rimborsate e sembrano essere moderatamente efficaci nell’abbassare la pressione intraoculare (IOP). Sia la GATT che l’AIT funzionano attraverso meccanismi simili: la GATT comporta la lacerazione del trabecolato mentre con l’AIT viene rimossa una striscia di trabecolato [un’altra fra le MIGS, denominata KDB, rimuove totalmente il trabecolato, n. d. r.].
Tuttavia, prove crescenti suggeriscono che dovremmo risparmiare, non lacerare il trabecolato. […]
Il trabecolato è stato tradizionalmente visto come un tipo di griglia di drenaggio microscopica all’interno dell’occhio. […]
Si è ampiamente creduto che un trabecolato ostruito fosse il problema principale del glaucoma. Questa teoria fu proposta per la prima volta alla fine del XIX secolo (Leber, 1873). Una prova apparente di ciò fu fornita quasi un secolo dopo dal dott. W. Morton Grant (Grant, 1958, 1963). Tuttavia, ora sappiamo che il lavoro di Grant non prese in considerazione i molteplici componenti fisiologici importanti che influenzano la IOP. Grant stesso concluse in seguito che in realtà c’è poca resistenza nel TM stesso (Ellingsen e Grant, 1971a, 1971b, 1972; Johnstone e Grant, 1973a, 1973b; Van Buskirk e Grant, 1973, 1974). Nonostante ciò, l’idea che il problema principale del glaucoma fosse dovuto alla resistenza al flusso nel trabecolato si è consolidata in un quasi dogma tra gli oftalmologi.
Se si ritiene che il trabecolato stia essenzialmente ostruendo il drenaggio del fluido all’interno dell’occhio, allora ha senso intuitivo rimuovere ciò che blocca l’uscita. Poco dopo la pubblicazione del 1958 del dott. Grant, è stata descritta la “Trabeculotomia con filamento di nylon nel glaucoma”, in cui una sutura è stata infilata nel canale di Schlemm e poi strappata attraverso il trabecolato. (Smith, 1962). Questo è stato il precursore della moderna chirurgia GATT che è una modifica minimamente invasiva (MIGS) della trabeculotomia con filamento di nylon descritta per la prima volta nel 2014 (Grover et al., 2014)
Tuttavia, c’è un problema con la trabeculotomia con filamento di nylon e GATT. I nostri corpi hanno sistemi intrinseci per curare i danni causati da traumi. Proprio come un taglio nella nostra pelle tende a guarire lasciando una piccola cicatrice, così lo strappo nel trabecolato si cicatrizzerebbe nel tempo, annullando sostanzialmente l’effetto dell’intervento chirurgico (Wada et al., 1994). Per affrontare questo problema è stato sviluppato un nuovo intervento chirurgico, la trabeculotomia ab-interno (AIT). In questo intervento è stato utilizzato uno strumento specializzato per rimuovere (piuttosto che semplicemente strappare) una striscia di trabecolato dall’occhio. In teoria, questo renderebbe molto più difficile per il corpo sigillare l’apertura creata durante l’intervento chirurgico.
Se la conclusione iniziale di Grant era che la maggior parte della resistenza al deflusso era a livello del trabecolato, allora la rimozione del trabecolato avrebbe dovuto determinare pressioni intraoculari (IOP) vicine a quella che viene chiamata pressione venosa episclerale (EVP, 7-8 mmHg). Questo è un intervallo di IOP che la maggior parte dei chirurghi del glaucoma considererebbe ideale per chi soffre di glaucoma. Tuttavia, l’AIT tendeva ad abbassare la IOP solo fino a valori alti, oltre il doppio dell’EVP. Perché non funzionava come previsto?
Ora sappiamo che oltre la metà della resistenza al deflusso è localizzata “distale” (oltre) il trabecolato. Supponendo che il sistema di deflusso sia solo una serie di restrizioni al flusso, rimuovere il trabecolato è semplicemente insufficiente per abbassare la IOP al di sotto di tredici. Tuttavia, anche questa comprensione del sistema di deflusso è grossolanamente semplificata e obsoleta.
Scoperte recenti hanno dimostrato che il sistema di deflusso convenzionale è tutt’altro che passivo. Infatti, anziché semplicemente bloccare il deflusso, il trabecolato agisce come componente fondamentale di un complesso sistema di pompaggio attivo del fluido acquoso (Johnstone, 2004). Per chiarire, la comprensione moderna suggerisce che il trabecolato funziona come un pistone che spinge il fluido acquoso fuori dal canale di Schlemm in tubi ancora più piccoli (i canali collettori). Se questo pistone viene distrutto, lo stesso vale per la pompa. Non serve essere un ingegnere per capire che se una pompa non funziona correttamente la soluzione è ripararla, non distruggerla. Eppure, distruggere la pompa è esattamente ciò che viene fatto con GATT e AIT.
Alcuni chirurghi potrebbero sostenere che, “Beh, non sappiamo come risolvere il problema, quindi potremmo anche fare ciò che possiamo”. Questo potrebbe essere un argomento ragionevole se il pompaggio fosse l’unica funzione del trabecolato. Tuttavia, ora sappiamo anche che oltre a pompare il fluido fuori dall’occhio, il trabecolato agisce sia come sensore di pressione che come regolatore del deflusso acquoso.
Pertanto, un trabecolato sano non limita solo il deflusso, ma lo monitora, lo controlla e lo facilita anche (Johnstone et al., 2020).
Alla luce di questa moderna comprensione, la lacerazione o la rimozione del trabecolato non solo distrugge la pompa, ma interrompe anche il sistema di controllo utilizzato dall’occhio per monitorare e regolare il drenaggio del fluido dall’occhio.
Se la tua casa è troppo calda in una giornata estiva e il tuo condizionatore non regge, “risolveresti “ questo problema aprendo le finestre, rompendo il condizionatore e strappando la scatola di controllo dal muro? Ovviamente no. Eppure, questo è ciò che stiamo essenzialmente facendo al complesso e attivo sistema di controllo della IOP nell’occhio quando vengono eseguiti GATT o AIT. Certo, se il sistema è così irreversibilmente rotto che non può essere riparato, allora potresti non avere altra scelta che aprire semplicemente le finestre. Allo stesso modo, ci sono momenti in cui potrebbe non esserci altra opzione ragionevole per “riparare” o ripristinare la funzionalità del sistema di drenaggio dell’occhio.
Tuttavia, solo perché al momento non abbiamo metodi per ripristinare la funzione del sistema di deflusso naturale nell’occhio, è potenzialmente poco saggio distruggerlo. Probabilmente potresti comunque godere di un po’ di sollievo dal caldo anche con un condizionatore d’aria mal funzionante e, pertanto, non lo romperesti intenzionalmente. Dobbiamo considerare la possibilità che il trabecolato (anche se danneggiato nel glaucoma) sia ancora almeno parzialmente funzionante e che dovremmo cercare di preservare questa funzione rimanente, non distruggerla.
Sfortunatamente, al momento non disponiamo di alcun metodo per valutare quali funzioni di controllo attivo e di pompaggio possano essere ancora presenti nel trabecolato di una persona affetta da glaucoma. Tuttavia, è probabile che ciò cambi man mano che i sistemi di imaging attualmente disponibili solo nei laboratori di ricerca vengono resi disponibili ai medici e ai loro pazienti. Infatti, sulla base di questa ricerca di imaging, ora sappiamo che la funzione di pompaggio (sebbene ridotta) è ancora attiva in almeno alcuni pazienti affetti da glaucoma (Gao et al., 2020).
Ci sono anche altri motivi per risparmiare il trabecolato. La classe più recente di farmaci per il glaucoma (gli inibitori ROCK-NET) agisce sul trabecolato e ci sono prove che questa classe di farmaci può effettivamente ripristinare parte della funzione perduta. Se il trabecolato viene distrutto, questa classe di farmaci non sarà un’opzione per quei pazienti che hanno subìto GATT o AIT. […]»
La rigenerazione del trabecolato: un promettente trattamento futuro per il glaucoma
Dopo aver valutato attentamente queste considerazioni, anche alla luce degli studi più recenti che indicano la terapia della rigenerazione del trabecolato come una via importante per il futuro dei trattamenti del glaucoma, si può comprendere bene la necessità di risparmiare il più possibile questo organo vitale. Anche in previsione di trattamenti futuri necessari per la gestione nel tempo del glaucoma.
Per fare solo un banale esempio, il benzalconio cloruro, un conservante molto usato nei colliri per il glaucoma ma anche nei colliri per l’occhio secco, può danneggiare il trabecolato con l’uso continuativo.
Sarebbe senz’altro opportuno usare quindi colliri per il glaucoma o lacrime artificiali senza conservanti.
Da tempo ormai si parla di terapie rigenerative del trabecolato con un ruolo determinante delle cellule staminali nelle terapie del glaucoma. Le cellule staminali, prelevate dal paziente stesso, vanno introdotte nella camera anteriore dell’occhio; anche se si rendono necessarie ulteriori indagini sulla sicurezza di queste applicazioni cliniche nel trattamento dei pazienti affetti da glaucoma.
Una revisione di Alexander Castro e colleghi pubblicata nel 2019, afferma che «le terapie con cellule staminali per la rigenerazione del TM forniscono una serie di trattamenti robusti e promettenti per l’eventuale abbassamento della IOP e la prevenzione della perdita della vista glaucomatosa negli esseri umani in futuro [il corsivo è mio, n. d. r.]. […]
L’elevata pressione intraoculare (IOP) è un importante fattore di rischio per il glaucoma, che è associato a un deflusso inefficiente dell’umore acqueo. Il trabecolato (TM) è responsabile del mantenimento di una IOP precisa fornendo una resistenza adeguata al deflusso dell’umore acqueo. Una maggiore resistenza nel TM determina un aumento della IOP.
La cellularità del TM [la densità numerica delle cellule nel trabecolato, n. d. r.] si riduce nei pazienti anziani e affetti da glaucoma. Gli attuali trattamenti mirano a ridurre la IOP tramite vie di deflusso alternative o riducendo la produzione di umore acqueo, ma nessuno ha come obiettivo il trabecolato stesso.
Illustrazione della struttura TM. La regione di inserimento (verde, regione non filtrante) è tra il TM e l’endotelio corneale. Il TM è costituito da trame uveali (blu), trame corneosclerali (rosse) e JCT (gialle). JCT, tessuto iuxtacanalicolare; TM, trame trabecolari. Ristampato con autorizzazione di J Ocul Pharmacol Ther. Volume 32, Yun et al. pubblicato da Mary Ann Liebert, Inc., New Rochelle, NY
L’utilizzo di diversi tipi di cellule staminali, tra cui le cellule staminali del trabecolato (TMSC), per ripopolare il tessuto TM e ripristinare la funzione TM per ridurre la IOP è stato segnalato come un metodo promettente per il trattamento del glaucoma. Studi recenti hanno dimostrato che la rigenerazione del tessuto TM funzionale tramite terapia con cellule staminali è particolarmente promettente come metodo per ripristinare il TM funzionale, ridurre la IOP e prevenire la perdita della vista glaucomatosa. […] […]»
La SLT a bassa potenza per la rigenerazione del trabecolato
Solo pochi mesi fa, e precisamente lo scorso 30 maggio, il prof. Stefano Gandolfi aveva rilasciato a Androknos una breve intervista, dove accennava a una rivoluzione nel trattamento del glaucoma. In riferimento al trattamento SLT a bassa potenza, aveva affermato:
«Si è rivalutato il trattamento laser come prima opzione terapeutica: invece di partire con i colliri e arrivare poi al laser, si inverte il percorso utilizzando alcune modalità di trattamento che prevedono un effetto biologico del laser, stimolando i tessuti che filtrano via il liquido dall’occhio a funzionare meglio, attraverso l’energia che viene somministrata, stimolando le cellule staminali a rigenerare il tessuto.»
Parole significative, che potrebbero davvero rivoluzionare il paradigma del trattamento del glaucoma. Intanto si attenderanno i risultati dell’imponente studio COAST che impiegherà ben tre anni perché si possa anche solo parlare di SLT a bassa potenza e di una sua applicazione di routine nel trattamento del glaucoma.
Certamente, occorrerà rivedere le linee guida europee se l’esito dello studio dovesse essere ritenuto positivo.
Ma dobbiamo anche sottolineare con forza che per l’approvazione e l’introduzione delle MIGS (chirurgia mininvasiva del glaucoma) da parte degli Enti preposti, non sono stati affatto necessari studi di tal durata e proporzioni.
Non esistono neppure RCT al riguardo, cioè Randomized Controlled Trial, che dimostrino l’efficacia e soprattutto la sicurezza di tali interventi di chirurgia oculare.
Così come l’uso della Mitomicina C o del 5-Fluorouracile nella chirurgia del glaucoma è avvenuto indistintamente su tutti i pazienti nonostante i farmaci vengano utilizzati per indicazioni non autorizzate e non abbiano mai ricevuto alcuna approvazione da parte degli Enti preposti.
E’ la logica dei due pesi e delle due misure?
Certamente non si intravvede alcun guadagno da parte delle case farmaceutiche nell’uso di SLT a bassa potenza. Anzi. L’uso di SLT a bassa potenza potrebbe prolungare la libertà del malato dai farmaci anti-glaucoma per parecchio tempo.
Saranno contente, di questo, le case produttrici di farmaci?
Nel frattempo, tuttavia, un altro colpo di scena. Ancora una volta il mistero scende fitto sulle terapie del glaucoma mentre Stefano Gandolfi se ne va per sempre.
Dopo un intero mese della scorsa estate che lo ha visto afflitto da malessere, il triste epilogo ai primi di settembre con la morte che nessuno si aspettava, tanto meno i suoi collaboratori.
Stefano Gandolfi è morto a Parma il 2 settembre 2024, a soli 64 anni
La tossicità dei colliri ipotonizzanti e la PAPS
Se per molti pazienti è possibile convivere anche bene con il glaucoma, per molti altri tuttavia la vita può trasformarsi in un autentico inferno.
Coloro che non tollerano la tossicità dei colliri che sfigura quotidianamente i loro occhi o coloro che sono costretti a passare da un intervento chirurgico all’altro, sempre più invasivo e con il concreto rischio di perdere sempre più linee di acuità visiva, ne sono il triste esempio.
Basti qui ricordare come la periorbitopatia associata all’uso degli analoghi topici delle prostaglandine (PAPS), la categoria di colliri più usati nel glaucoma come terapia di prima linea, sia molto frequente. Quando essa si verifica, il solco palpebrale si approfondisce e potrebbero aggiungersi anche ptosi ed enoftalmo, infossamento del globo oculare all’interno della cavità orbitaria.
Si perde il grasso periorbitale, che dà alle palpebre e ai tessuti adiacenti la loro consistenza e forma naturale, in quanto le prostaglandine impediscono l’adipogenesi (la formazione naturale di grasso). A causa dell’uso continuato degli analoghi delle prostaglandine e specialmente con bimatoprost (commercializzato con il nome di Lumigan), si può verificare persino l’accorciamento della distanza interpupillare (IPD) fino a 3 millimetri. E per l’incidenza di questo effetto collaterale possono bastare solo 8 settimane di terapia.
Il quadro nei casi più gravi può degenerare in blefarocalasi, dove i vasi sanguigni nelle palpebre, in particolare quella inferiore, si evidenziano e diventano visibili, la pelle diventa sottile e rugosa, cambia aspetto e si inscurisce, invecchiando molto precocemente. In alcuni casi rari può verificarsi anche una cospicua perdita delle ciglia o più spesso cambiamenti permanenti del colore dell’iride, che diventa più scura.
Non si comprende allora come la maggior parte degli oculisti possa affermare che gli analoghi delle prostaglandine abbiano “pochissimi effetti collaterali”. Forse non viene minimamente preso in considerazione il cambiamento – anche radicale – del volto di una persona. Ma se ciò risulta del tutto trascurabile nelle valutazioni che gli oculisti fanno sui pazienti, significa invece nella realtà un impatto sostanziale sulla persona e sulla tanto ricercata qualità di vita (QoL) che le cure del glaucoma si proporrebbero come obiettivo principale, secondo le più recenti linee guida.
Uno studio inglese ha dimostrato a esempio come le persone colpite da ptosi manifestassero alti tassi di ansia e depressione e mostrassero grande disagio nei contatti sociali, da cui tendevano a rifuggire.
Né gli effetti avversi degli analoghi delle prostaglandine possono essere imputati alla presenza di conservanti, come spesso viene affermato: la tossicità di tali molecole è nota in letteratura da parecchi anni anche in formulazioni prive di conservanti come il Saflutan, il cui principio attivo è tafluprost.
L’uso di tafluprost, infatti, seppure con una frequenza minore rispetto all’uso di bimatoprost (commercializzato Lumigan), può provocare tutti i segni della periorbitopatia associata agli analoghi delle prostaglandine.
Non a caso i colliri ipotensivi in genere, insieme alle sopracitate prostaglandine, vengono definiti – per la loro comprovata tossicità – in alcuni studi: Drugs Aging, ovvero “farmaci invecchiamento” (per motivi a noi ignoti, tale dicitura scompare nella versione desktop, nonostante si tratti sempre dello stesso articolo).
Tuttavia molto, molto raramente gli oculisti informano i pazienti, prima di consigliare l’uso degli analoghi delle prostaglandine, di questi rischi. Né viene detto loro che tali effetti possono verificarsi anche solo dopo poche settimane di instillazione ed essere irreversibili dopo la sospensione del collirio. Infatti è molto probabile che questi importanti cambiamenti estetici siano reversibili, dopo la sospensione del trattamento con prostaglandine, in modo soltanto parziale.
E tanto meno i bugiardini redatti dalle case produttrici, che corredano le confezioni di questi farmaci, informano con chiarezza e completezza il paziente del possibile manifestarsi degli eventi avversi e di come questi possano essere solo parzialmente reversibili alla sospensione della terapia.
Nonostante tutto ciò sia noto in letteratura da molti anni. E sia anche oggetto di relazione nei più recenti congressi internazionali.
Nonostante sia obbligatorio per le case farmaceutiche riportare gli eventi avversi conosciuti di un farmaco.
Solo i pazienti – che risultano essere anche gli unici e i diretti interessati del trattamento – vengono tenuti completamente all’oscuro di tutto ciò.
E’ evidente, poi, come questo finisca col ritorcersi solo contro il paziente anche nella cura della malattia, in quanto inciderà molto negativamente sull’aderenza futura del paziente stesso alle successive terapie, minandone la fiducia.
Lo sottolinea proprio uno studio di Rei Sakata e colleghi, secondo il quale un nuovo farmaco, l’omidenepag isopropil (OMDI) sembra fornire riduzioni della pressione intraoculare paragonabili agli analoghi delle prostaglandine ma senza effetti indesiderati correlati alla sindrome periorbitale associata alle prostaglandine (PAPS).
Tuttavia occorre sottolineare che l’omidenepag isopropil è comunque gravato da molti effetti avversi anche gravi.
Distribuzione del grado PAP (periorbitopatia associata alle prostaglandine) nei vari analoghi topici delle prostaglandine, confrontati con OMDI. Da sinistra, latanoprost, tafluprost, travoprost, bimatoprost. La zona azzurra indica nessun cambiamento. OMDI come si può vedere non ha causato PAP. Bimatoprost ha causato PAP in una percentuale maggiore
Menzionerei anche la pilocarpina, vecchio farmaco di origine naturale che un tempo era considerato il trattamento principe contro il glaucoma per la sua efficacia nell’abbassare le pressione intraoculare, anche se non paragonabile agli analoghi delle prostaglandine per la loro efficacia di mantenere costante la pressione nel tempo.
Tra i punti deboli del farmaco la midriasi, restringimento della pupilla, che può causare difficoltà di visione notturna e soprattutto il regime di somministrazione multipla quattro volte al giorno. In alcuni rari casi, più frequentemente nei soggetti miopi, può provocare il distacco di retina. Il farmaco non induce tuttavia periorbitopatia né significative alterazioni palpebrali.
Malgrado la sua efficacia documentata, la pilocarpina è stata recentemente ritirata dal commercio nella sua indicazione contro il glaucoma, tanto da allarmare e scomodare qualche grossa testata nazionale italiana.
L’ennesimo mistero che avvolge questa grave patologia che colpisce la vista. È possibile tuttavia trovare il farmaco in commercio anche con altre indicazioni per uso oftalmico, oppure può essere preparato senza conservanti nelle farmacie galeniche.
La perdita della vista dopo la chirurgia del glaucoma
Per quanto riguarda gli interventi di chirurgia oculare, secondo uno studio clinico di coorte di Francisco G. Junoy Montolio e colleghi, molti pazienti lamentano una perdita della funzione visiva dopo aver subìto un intervento di chirurgia del glaucoma.
«L’intervento chirurgico per il glaucoma non è privo di rischi e può di per sé compromettere la funzione visiva. E’ una sfida clinica valutare il rischio e il beneficio nei singoli pazienti».
Come abbiamo già ricordato infatti nell’articolo precedente, gli interventi chirurgici più comuni per il glaucoma (la trabeculectomia e i dispositivi di drenaggio con shunt tubulare) abbassano la IOP deviando l’umore acqueo dalla camera anteriore allo spazio sottocongiuntivale.
Occorre sottolineare come queste procedure siano soggette a ipotonia precoce (<1 mese postoperatorio) e complicazioni correlate all’ipotonia che possono causare una grave perdita della vista in almeno il 20% dei pazienti. L’ipotonia infatti determina spesso gravissimi danni al nervo ottico, che non viene più irrorato subendo una ischemia con gravi danni del campo visivo.
Inoltre, dopo interventi molto invasivi come la trabeculectomia o l’impianto di dispositivi di drenaggio, si perde di norma un MD nella perimetria. Per tale motivo non si eseguono più esami del campo visivo fino a un anno e mezzo dopo che il paziente si è sottoposto a un intervento di trabeculectomia.
Questo significa che chi rifiuta la chirurgia del glaucoma, anche se continuerà fisiologicamente a sperimentare un peggioramento del campo visivo, si potrebbe trovare dopo un anno e mezzo ad avere la stessa perdita in MD di chi ha subìto l’intervento chirurgico.
Se è vero che chi ha deciso di sottoporsi a un intervento di trabeculectomia dovrebbe recuperare negli anni successivi la perdita, rispetto a chi ha rifiutato la chirurgia, e quindi beneficiare del costo della chirurgia stessa, è altrettanto vero che ciò si potrà verificare solo a condizione che l’intervento – e quindi la bozza congiuntivale – continui a essere funzionante.
Tuttavia, la trabeculectomia generalmente fallisce nel tempo, la procedura deve essere ripetuta e si tenta di non intaccare più tessuto connettivo eseguendola sempre nello stesso punto, in previsione di possibili nuovi interventi. Il fallimento della trabeculectomia comporta un aumento della pressione intraoculare (che può essere incontrollato) nell’occhio operato.
Secondo quanto hanno riportato quasi dieci anni fa alcuni ricercatori sul Journal of Glaucoma, inoltre, quando si è sottoposti alla trabeculectomia, “abbiamo scoperto che si verifica un aumento uniforme della pressione intraoculare nell’occhio controlaterale in tutte le categorie di pazienti”.
Questo innalzamento della pressione intraoculare si può verificare non solo se l’occhio non operato è anch’esso affetto da glaucoma, ma sorprendentemente anche quando è sano. Non si conoscono i meccanismi fisiopatologici alla base di ciò. Ma tale effetto collaterale non deve essere assolutamente sottovalutato anche perché si potrebbe superare il valore soglia (20 mmHg).
Il tasso di fallimento della chirurgia del glaucoma, come la trabeculectomia, è del 10% ogni anno, secondo Richardson. Mentre secondo uno dei pochissimi studi che ha seguito i pazienti nel lungo termine, il tasso di fallimento della trabeculectomia è del 10% dopo cinque anni, per aumentare gradualmente negli anni successivi fino al 58% dopo quindici anni.
E’ senz’altro troppo poco per un intervento che, dopo sessant’anni dalla sua ideazione, continua a essere considerato ancora il gold standard della chirurgia del glaucoma.
Trabeculectomia
Posizionamento del tubo di un impianto di drenaggio per glaucoma nella camera anteriore [presenza di tre iridectomie da precedenti interventi – buchi scuri nella parte superiore dell’iride] (Homero)
Né, superato ormai il secondo decennio del XXI secolo, si intravedono all’orizzonte innovative soluzioni chirurgiche che non vadano a stravolgere in modo irreversibile l’anatomia dell’occhio e non presentino al contempo alti rischi per la conservazione della funzione visiva.
Meritano infine di essere ricordati tutti coloro che hanno subìto la perdita repentina della vista e a volte l’eviscerazione di un occhio a causa dello sviluppo improvviso di endoftalmite, il cui verificarsi non è così raro come si vorrebbe far credere: basta guardare le percentuali riportate in molti studi clinici.
Maria Brambati e colleghi nel 2021 riportano «un caso di endoftalmite – riguardante una donna di 40 anni – a seguito di needling della bozza dopo l’impianto di PRESERFLO MicroShunt (MIGS).
La donna è stata sottoposta a sei revisioni needling (NRs) e a una revisione chirurgica della bozza a causa di un controllo insoddisfacente della pressione intraoculare dovuto all’incapsulamento della bozza. Circa tre mesi dopo la revisione chirurgica, l’incapsulamento della bozza è nuovamente recidivato e la donna è stata sottoposta a un’ulteriore revisione needling della bozza con betametasone.
Quattro giorni dopo la donna ha sperimentato riduzione dell’acuità visiva e le è stato consigliato di recarsi immediatamente in ospedale dove è arrivata con ipopion [secrezione di liquido purulento, n. d. r.] e foschia diffusa del vitreo. E’ stata effettuata una diagnosi clinica di endoftalmite (in seguito confermata da test di coltura batterica) ed è stata trattata con vitrectomia pars-plana con olio di silicone e antibiotici intravitreali. La funzione visiva preoperatoria è stata fortunatamente completamente ripristinata.
Conclusioni: L’endoftalmite può verificarsi dopo revisione needling della bozza in occhio con impianto PRESERFLO MicroShunt, che quindi non impedisce il reflusso dei batteri dalla bozza filtrante verso la camera anteriore.»
Lo stesso rapporto ci informa contestualmente che «l’endoftalmite successiva all’intervento chirurgico per il glaucoma è una complicanza rara ma devastante con un’incidenza segnalata che varia dallo 0,2% al 9,6%».
Ci chiediamo allora come l’incidenza della complicanza in questione, ovvero l’endoftalmite, possa venire definita “rara” considerando che le segnalazioni arrivano fino al 9,6%.
Secondo la tabella redatta dal Council for International Organizations of Medical Sciences, che classifica in base alla frequenza l’incidenza degli effetti avversi causati da un farmaco, un effetto avverso che abbia un’incidenza superiore o uguale a uno su cento viene considerato come frequente (o comune).
Cosa può cambiare allora – in termini di frequenza – nel caso dell’incidenza di complicazioni a seguito di chirurgia oculare? L’incidenza della temutissima endoftalmite supera infatti i nove pazienti su cento. In altri studi l’incidenza di endoftalmite, dopo l’impianto di XEN Gel Microstent – ad esempio -, viene riportata fino al 3% nel periodo postoperatorio intermedio per poi passare all’1,7%; restando evidentemente sempre al di sopra di un paziente su cento.
Ma facciamo ritorno al nostro articolo.
«L’endoftalmite può insorgere dopo la trabeculectomia, in particolare dopo l’introduzione di antimetaboliti, così come dopo l’impianto di MIGS. Inoltre, ci sono diverse procedure postoperatorie che possono portare all’endoftalmite, tra cui la revisione needling (NR), la lisi della sutura laser, la sutura compressiva e l’iniezione di sangue autologo [intorno alla bozza filtrante, n. d. r.].»
L’incidenza di endoftalmite è aumentata quindi in seguito alla diffusione dell’applicazione di Mitomicina C. Ma come si può ben leggere, lo scoppio di endoftalmite può avvenire anche senza fare uso di antimetaboliti sull’occhio per complicazioni che riguardano sempre la creazione di una fistola e della bozza sottocongiuntivale.
A tali percentuali di sviluppo di endoftalmite nel paziente sottoposto a chirurgia filtrante del glaucoma si devono aggiungere inoltre le percentuali di chi perderà la vista, dopo la chirurgia oculare, a causa dello sviluppo di glaucoma maligno (subdolo e di difficile controllo), la già menzionata ipotonia (che può anche essere causata da una perdita della bozza sottocongiuntivale) e quindi lo sviluppo della temuta emorragia sovracoroideale. Senza annoverare maculopatia ipotonica, distacco della coroide, edema maculare e altre complicazioni molto pericolose per la vista.
Una riflessione conclusiva
Al di là di tutti i proclami trionfalistici, emerge allora con forza la verità.
Ogni valida promessa sulle terapie del glaucoma che non comportasse gravi effetti collaterali o complicazioni molto pericolose per la vista, come per i colliri ipotonizzanti o per la chirurgia del glaucoma (mininvasiva o meno), di volta in volta, è stata stroncata sul nascere, senza pietà.
Non poteva convenire infatti alle strapotenti case farmaceutiche una cura che guarisse il malato o lo potesse almeno liberare per un tempo duraturo dai farmaci. Quando una promettente terapia, come la trabeculoplastica laser selettiva, si è affacciata sul panorama del glaucoma, occorreva stroncarla sul nascere accorciandone vita ed efficacia.
Prima che potesse funzionare per un buon numero di pazienti nel tempo e prolungare la libertà del malato.
Sappiamo già chi siano i soliti nomi che si celano, nell’oscurità, dietro questo scenario: nomi che più volte abbiamo incontrato nel corso dei nostri articoli e il cui raggio di azione non potrebbe non includere anche la salute pubblica, uno dei pilastri portanti su cui si regge il sistema mondiale.
Dai Rockefeller, che dominano il campo della medicina fin dal XIX secolo, al “filantropo” Bill Gates. Da Gates al fondo di investimenti BlackRock, dietro cui si nascondono molte delle famiglie dominanti sulla Terra, come i potentissimi, e sconosciuti ai più, Rothschild.
Al di là del valore preziosissimo e indiscusso della prevenzione, allora, si può comprendere bene perché le società para-massoniche come Lions e Rotary si affannino tanto a voler “scovare” i malati cronici. Essi costituiscono una fonte inesauribile di reddito.
La massoneria, che ha infiltrato nei secoli governi e istituzioni e infine anche la Chiesa Cattolica, ha stipulato un patto col diavolo.
Essa, infatti, gode e si arricchisce dell’umana sofferenza.
E’ stato posto sotto i nostri occhi con la farsa pandemica e lo constatiamo, tutti i giorni fino a oggi, nella lista interminabile delle morti improvvise che si continua ad allungare in modo impressionante e include anche i bambini. I sieri sperimentali, caldeggiati dai camici bianchi e imposti dal governo, non hanno richiesto la necessità di imponenti studi triennali per essere iniettati. Persino ai neonati e alle donne incinte.
Le parole che la Madonna pronunciò a Civitavecchia, piangendo lacrime di sangue, si sono tristemente avverate.
Ma lasciatemi per un momento andare oltre.
I meravigliosi occhi della Madonna di Guadalupe, rivolti amorevolmente verso la Terra e nelle cui pupille è impressa la scena di Juan Diego nell’atto di stendere il mantello, sono la nostra speranza.
Speranza che in Dio diviene certezza.
Certezza che il buio e le forze del male non prevarranno.