C’è un’immagine impressa su tela che, per il suo valore incommensurabile, è paragonabile a quella della Sacra Sindone. Eppure nell’Occidente europeo se ne parla troppo poco o quasi nulla, a parte qualche sito specialistico.
Sto parlando della Sacra Tilma su cui è impressa l’immagine della Madonna di Guadalupe, custodita nella Basilica situata sul monte Tepeyac, in Messico.
In tutta l’America Latina, invece, la Tilma di Juan Diego è non solo universalmente conosciuta, ma anche oggetto di un’enorme devozione. Tanto che in Messico, il PRI, un partito che storicamente ha sostenuto la laicità dello Stato, ha di recente intrapreso un’iniziativa che mira a rendere il 12 dicembre, giorno dedicato alla Vergine di Guadalupe, un riposo obbligatorio e festivo. Anche perché di fatto la giornata festiva, non ufficialmente, viene data comunque a molti lavoratori.
Si stima che oltre un milione di messicani cattolici visitino ogni anno, il 12 dicembre, la Basilica di Guadalupe, a nord est di Città del Messico. Molte persone iniziano a camminare verso la Basilica anche da città o villaggi situati a molti chilometri di distanza, anche alcuni giorni prima del 12 dicembre. Molti pellegrini percorrono in ginocchio le ultime centinaia di metri, dai cancelli della Basilica all’entrata della stessa.
Si può bene affermare che la Vergine di Guadalupe sia onnipresente nella cultura messicana moderna.
I pellegrini si dirigono verso la Basilica prima della commemorazione del 491° anniversario dell’apparizione della Vergine di Guadalupe, per ringraziarla e celebrarla (Foto: Daniel Augusto-Cuartoscuro)
Le immagini che raffigurano la Beata Vergine possono essere ammirate ovunque: all’interno delle chiese, nelle strade che portano ai Santuari, nei taxi e negli autobus, nelle case, nei negozi, nelle stazioni degli autobus e negli aeroporti; nella automobili delle persone, negli uffici e persino come tatuaggi. Quasi cinquecento anni dopo, la Vergine di Guadalupe continua ad essere venerata come Custode e Salvatrice da milioni di messicani cattolici.
La storia che ormai da secoli dà origine a un grandissimo movimento di persone oltre a una grandiosa e fervida devozione nei confronti della Vergine Maria, si svolse quasi cinquecento anni or sono ed ebbe come protagonista l’indio Juan Diego, uno dei primissimi indigeni convertiti al cristianesimo.
Questa storia vera merita di essere raccontata insieme alla sua reale collocazione storica per poterne comprenderne in profondità le dinamiche. Riporto qui di seguito, a tal proposito, alcuni estratti dall’articolo: “History of the Apparitions to Juan Diego”, dal sito olg-parish.com. Gli estratti sono stati integrati con altre fonti e ulteriori miei approfondimenti.
La Madre dell’America
La Beata Vergine Maria entrò nella vita stessa dell’America Centrale divenendo una parte inscindibile della vita messicana e una figura centrale nella storia del Messico stesso. Ragione per cui le tre celebrazioni religiose più importanti nell’America centrale e meridionale sono il Natale, la Pasqua e il 12 dicembre, giorno della festa di Nostra Signora di Guadalupe. L’apparizione di Maria avvenuta proprio al centro dei Continenti americani ha contribuito a far sì che alla Vergine di Guadalupe venisse attribuito il titolo di “Madre dell’America”.
È importante comprendere il contesto storico e l’ambientazione dell’epoca dell’apparizione a Juan Diego per apprezzare appieno l’impatto della Vergine di Guadalupe, o La Morenita, come è affettuosamente conosciuta dal popolo messicano.
Gli Aztechi
Gli aztechi governavano la maggior parte dell’America Centrale nel 1500, e il loro impero noto come Mesoamerica si estendeva dal Golfo del Messico all’Oceano Pacifico e comprendeva le terre del Messico, Guatemala, Belize e porzioni di Honduras ed El Salvador. Montezuma (o Moctezuma) il Giovane, considerato il rappresentante terreno del dio del sole Huitzilopochtli, divenne re degli aztechi nel 1503 e governò dalla capitale Tenochtitlan e dalla sua città gemella Tlatelolco, entrambe situate su un’isola nel lago Texcoco, il sito della moderna Città del Messico. Gli abitanti dell’isola erano chiamati Mexica.
Montezuma chiese pesanti tributi alle tribù indiane circostanti ed era pronto a conquistare le poche regioni rimaste della morente civiltà Maya.
La città di Tenochtitlan era il centro del culto religioso degli aztechi. Poiché i mexica credevano che gli dei avessero bisogno del sangue umano per sopravvivere, i sacerdoti sacrificavano migliaia di esseri umani vivi all’anno, generalmente indiani catturati dalle tribù circostanti, per placare le spaventose divinità.
Due divinità importanti per comprendere gli eventi della storia erano Quetzalcóatl, il serpente piumato, e Tonantzin, la divinità madre. Quetzalcóatl era il dio che fondò la nazione azteca, ma se ne andò quando iniziarono i sacrifici umani, poiché si opponeva al terribile rituale; ma giurò che un giorno sarebbe tornato per reclamare il suo trono e riscattare gli aztechi nell’anno 1-Reed, che si verificava ogni 52 anni nel ciclo temporale azteco. Tonantzin era raffigurata come una figura terrificante, con la testa composta da serpenti e la sua veste come una massa di serpenti contorti; i suoi occhi proiettavano un dolore penetrante. Tonantzin era venerata in un tempio di pietra a Tepeyac, a circa cinque miglia dalla capitale Tenochtitlan.
La sorella di Montezuma, la principessa Papantzin, cadde in coma nel 1509. Dopo la sua guarigione, raccontò un sogno che influenzò profondamente il superstizioso re. Nel suo sogno un essere luminoso con una croce nera sulla fronte la condusse su una riva con grandi navi che sarebbero arrivate alle loro coste per conquistare gli aztechi e portare loro il vero Dio. Fu solo dieci anni dopo, nell’anno 1-Reed, anno in cui Quetzalcóatl poté ritornare, che i Conquistadores della Spagna arrivarono sulle coste del Messico.
Hernan Cortés e i Conquistadores
La scoperta europea dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492 portò all’esplorazione e alla colonizzazione di tutti i Caraibi da parte degli spagnoli. I Conquistadores, proprio come i Crociati, erano variamente alla ricerca di fortuna, gloria personale e Dio, e spesso tutti e tre.
Lo spagnolo Hernan Cortés (scritto anche Cortez) sbarcò sulla costa del Golfo del Messico il Venerdì Santo, 22 aprile 1519. Secondo uno dei suoi uomini, Bernal Diaz del Castillo, che registrò gli eventi della spedizione, Cortés arrivò con 508 soldati su undici navi, 100 marinai, 16 cavalli, alcuni cannoni, balestre e altri pezzi di artiglieria. Chiamarono il luogo dello sbarco Veracruz, “La Vera Croce”. Il loro cappellano, padre Bartolomé de Olmedo, celebrò la messa la domenica di Pasqua. Cortés lavorò insieme ai suoi uomini per costruire un forte e lasciò un contingente per proteggere il nuovo insediamento. Quindi rimandò una nave in Spagna con una lettera che descriveva dettagliatamente la scoperta per il re Carlo V. In una mossa storica per rafforzare la loro determinazione a conquistare la terra, Cortés bruciò le sue ultime dieci navi nel porto, interrompendo ogni via di ritirata.
Tre ragioni sono state addotte per la conquista del Messico da parte di questa piccola ma formidabile forza. L’arrivo dei Conquistadores spagnoli con le loro corazze di metallo, i cavalli sbuffanti, le pistole fumanti e i cani feroci si rivelò uno spettacolo spaventoso per gli indiani. Cortés, attraverso l’interprete indiana Dona Marina, conquistò abilmente le tribù indiane periferiche, come i Tlaxcalani, che si risentivano del pesante tributo richiesto dagli aztechi. Inoltre, gli aztechi e altri non avevano immunità al vaiolo portato sulle coste americane dagli europei, e furono decimati da un’epidemia di vaiolo iniziata nel 1520.
Gli Aztechi del Messico e la via di Cortés nel 1519
La spedizione risalì prima la costa fino a Cempoala, dove la tribù pesantemente tassata giurò fedeltà a Cortés. Continuarono attraverso Jalapa e si diressero verso Tlaxcala. Continuavano a trovare prove di sacrifici umani ovunque andassero. Ciò non fece altro che rafforzare la loro determinazione a fermare la pratica diabolica. All’inizio i tlaxcalani resistettero agli spagnoli. Cortés combatté al fianco dei suoi uomini e si guadagnò per sempre il loro rispetto. Incapaci di sconfiggere gli spagnoli, i feroci tlaxcalani alla fine unirono le forze con Cortes e si rivelarono i più preziosi alleati.
Sulla strada per Tenochtitlan, Montezuma progettò una trappola a Cholula per Cortés, ma gli spagnoli e i tlaxcalani sopraffecero la tribù Chululan, alleata dei mexica, e provocarono 3000 morti. Montezuma ricordò il sogno di sua sorella quando apprese che una croce nera adornava gli elmi degli spagnoli. Poiché credeva di essere la reincarnazione del dio Quetzalcóatl, Montezuma rifiutò di attaccare Cortés, e in realtà lo accolse al suo arrivo a Tenochtitlan l’8 novembre 1519, ospitando gli spagnoli nel palazzo del padre di Montezuma.
Gli spagnoli rimasero sconvolti dall’orribile spettacolo del sacrificio umano e Cortés chiese a Montezuma di fermarsi. Ma il sacrificio degli adulti e perfino dei bambini continuava, e gli spagnoli venivano svegliati ogni mattina dalle urla delle vittime sacrificali. Cortés pose coraggiosamente Montezuma agli arresti domiciliari una settimana dopo il suo arrivo e lo confinò nel suo palazzo.
Montezuma presentò a Cortés molti doni in oro, argento e gioielli, ma non volle fermare i rituali demoniaci. Alla fine, Cortés salì le scale del tempio principale, fece rimuovere dai sacerdoti gli dei aztechi e pose una croce e un’immagine della Beata Vergine Maria. Padre Olmedo celebrò la Santa Messa.
I rituali aztechi si fermarono per tre mesi. La guerra stava per iniziare.
Poco dopo, Cortés dovette lasciare la città per motivi politici e affidò a Pedro de Alvarado il comando di Tenochtitlan. Durante la festa del dio sole Huitzilopochtli nella primavera del 1520, Alvarado decise di circondare gli aztechi durante la loro cerimonia rituale nei templi e massacrò i celebranti disarmati. Indignati per questa violazione, i mexica insorsero in armi. Il fratello di Montezuma, Cuitlahuac, assunse la guida e attaccò ferocemente gli spagnoli. Montezuma morì nella battaglia. Cortés tornò a Tenochtitlan e trovò la città in guerra aperta. Gli spagnoli e i tlaxcalani furono sonoramente sconfitti e cacciati dalla città nella notte del dolore, il 30 giugno 1520.
Tuttavia, Cortés tornò a Tenochtitlan nel maggio del 1521 con un massiccio esercito di indiani nativi, per lo più tlaxcalani. Furono sorpresi di scoprire che metà della popolazione, incluso Cuitlahuac, era morta a causa di un’epidemia di vaiolo. Il successivo e ultimo re Cuauhtémoc combatté contro Cortés per 93 giorni, ma dovette arrendersi il 13 agosto 1521. La gloriosa città di Tenochtitlan fu distrutta e con essa la pratica azteca del sacrificio umano. La conquista della Mesoamerica era completa.
La prima azione di Cortez come conquistatore fu quella di porre la regione sotto la corona spagnola e demolire i templi del sacrificio e costruire al loro posto chiese cattoliche, come la chiesa Santiago de Tlatelolco sul sito del Tempio del dio sole nell’attuale Città del Messico.
Cortez chiamò missionari per convertire gli indiani nativi e, poco dopo la conquista, il francescano Peter Ghent dal Belgio arrivò nella Nuova Spagna nell’agosto del 1523. Divenne noto come fra’ Pedro de Gante e adottò gli usi degli indiani e visse una vita di povertà tra i nativi. Imparò il Náhuatl, la lingua nativa azteca, e presto apprezzò che la comunicazione con i nativi avveniva attraverso immagini, musica e poesia. Iniziò dapprima ad educare i giovani, e gli indigeni impararono presto a fidarsi di lui e ad ascoltare il messaggio cristiano.
Nel maggio del 1524 arrivarono dodici missionari francescani, tra cui padre Toribio Paredes de Benavente, che divenne affettuosamente noto come Motolinia o “povero” dagli indigeni per i suoi modi di sacrificio. Molti degli altri tentarono la conversione con metodi catechetici formali tramite traduttori. Ma trovarono i nativi molto resistenti al cristianesimo, la religione dei Conquistadores, che aveva ucciso migliaia di indiani, violentato le loro donne e distrutto Tenochtitlan.
I domenicani, tra cui padre Bartolomé de Las Casas delle Indie occidentali, il primo sacerdote ordinato nel Nuovo Mondo, gli agostiniani e i gesuiti arrivarono molto più tardi.
Nel 1528 Carlo V di Spagna inviò un gruppo di cinque amministratori noto come Real Audiencia a governare il Messico. La Real Audiencia fu presieduta da don Nuño Beltrán de Guzmán, che si dimostrò subito crudele e spietato nel trattare la popolazione indigena. Obbligò la popolazione nativa ad abbandonare i propri villaggi o a essere ridotta in schiavitù, li marchiò sul volto e li vendette in cambio di bestiame.
Per compensare la prima Audiencia, Carlo V nominò il frate francescano Juan de Zumárraga primo vescovo di Città del Messico e protettore degli indiani nel dicembre del 1528. Nei suoi 25 anni come vescovo realizzò molto, tra cui la fondazione del primo liceo classico, di una biblioteca, di una tipografia e il primo collegio, Colegio de la Santa Cruz a Tlatelolco. Uno dei primi insegnanti del Collegio fu il francescano fra’ Bernardino de Sahagún, autore del Codice fiorentino, uno studio sulla lingua e cultura azteca Náhuatl.
Tuttavia, il vescovo trascorse gran parte del suo primo anno in Messico opponendosi al trattamento spietato riservato agli indiani da de Guzman, che a quel punto aveva venduto 15.000 indiani come schiavi. La prima Audiencia applicò una severa censura e proibì sia agli indiani che agli spagnoli di presentare reclami al vescovo. Il vescovo rispose con severi sermoni contro l’uso della forza militare, la tortura e l’imprigionamento degli indiani. Infine, nel 1529, alcuni indiani portarono segretamente una protesta al vescovo Zumárraga riguardo alle pesanti tasse e alle condizioni degli schiavi nella vicina Puebla. Il vescovo Zumárraga riuscì a inviare in Spagna un messaggio nascosto in un crocifisso e de Guzman fu richiamato. Una seconda Audiencia si rivelò giudiziaria a favore degli indiani, ma non arrivò in Messico fino al 1531.
Tuttavia, i Conquistadores e la prima Audiencia avevano arrecato gravi danni al loro rapporto con la popolazione indigena. Gli indiani erano stufi dell’occupazione spagnola e il risentimento aveva raggiunto un punto critico. Scoppi isolati di scontri con gli spagnoli erano diventati inevitabili e il vescovo Zumárraga temeva un’insurrezione generale. Tale era lo scenario in cui ebbe luogo l’evento del Tepeyac.
La storia della Vergine di Guadalupe
Cuauhtlatoatzin fu uno dei primi uomini aztechi a convertirsi al cristianesimo dopo l’invasione spagnola. Aveva sposato una ragazza di nome Malintzin e viveva con uno zio vicino al lago Texcoco. I tre furono tra i pochi ad essere battezzati nei primi tempi, molto probabilmente da padre Toribio nel 1525, con i nomi di Juan Diego e Maria Lucia, e dello zio Juan Bernardino. Maria Lucia non aveva figli e morì prematuramente nel 1529. Ribattezzato Juan Diego, subito dopo fu il protagonista di un’apparizione della Vergine Maria chiamata Vergine di Guadalupe. Questa apparizione divenne un simbolo importante per un nuovo cristianesimo nativo. Questi estratti sono tradotti da un resoconto pubblicato per la prima volta in lingua nahuatl da Luis Lasso de la Vega nel 1649.
Juan Diego Cuauhtlatoatzin, rimasto vedovo all’età di 55 anni, decise di dedicare la sua vita a Dio. Era sua abitudine frequentare la messa e le lezioni di catechismo nella chiesa di Tlatilolco. All’alba di sabato 9 dicembre 1531, Juan Diego si mise in cammino verso la chiesa.
Un sabato, poco prima dell’alba, [Juan Diego] era in viaggio per dedicarsi al culto divino e alle sue commissioni. Quando si trovò ai piedi della collina conosciuta come Tepeyac*, sopraggiunse l’alba e udì un canto proveniente dalla cima della collina, simile al canto di vari bellissimi uccelli….
Poi sentì una voce dall’alto del monte che gli diceva: “Juanito, Juan Dieguito”. Allora si avventurò e andò dove era stato chiamato. Non era minimamente spaventato; al contrario, era felicissimo.
Salì quindi sulla collina, per vedere da dove proveniva la voce. Quando raggiunse la vetta, vide lì una Signora che gli disse di recarsi presso di lei. Avvicinandosi alla sua presenza, si meravigliò molto del suo splendore sovrumano; le sue vesti risplendevano come il sole; la roccia su cui poggiava i piedi, trafitta di brillantini, somigliava a una cavigliera di pietre preziose, e la terra scintillava come l’arcobaleno. I mezquites, i nopales e altre diverse erbe infestanti che crescevano lì apparivano come smeraldi, il loro fogliame come turchese e i loro rami e le loro spine brillavano come oro. Si inchinò davanti a lei e ascoltò la sua parola, tenera e cortese, come di chi ti affascina e ti stima molto.
Lei disse: “Juanito, il più umile dei miei figli, dove vai?”
Egli rispose: “Mia Signora, devo raggiungere la vostra chiesa in Messico, Tlatilolco*, per perseguire le cose divine, insegnate e donateci dai nostri sacerdoti, delegati di Nostro Signore”.
Allora gli parlò: “Sappi e comprendi bene, tu il più umile dei miei figli, che io sono la sempre Vergine Maria Santissima, Madre del vero Dio per il quale viviamo, del Creatore di tutte le cose, Signore del cielo e la terra”.
“Desidero che venga eretto qui presto un santuario, affinché in esso possa manifestare e donare tutto il mio amore, compassione, aiuto e protezione, perché sono la tua Madre misericordiosa, per te e per tutti gli abitanti di questa terra e di tutto il mondo. Riposo per chi mi ama, invoca e confida in me; ascolterò lì i loro lamenti e rimedierò a tutte le loro miserie, afflizioni e dolori…”.
Quindi [Juan Diego] scese per andare a compiere le commissioni e passò per il viale che porta direttamente a Città del Messico.
… il vescovo non diede credito [a Juan Diego] e disse che non poteva fare quello che Juan aveva chiesto basandosi solo sulla sua richiesta. Inoltre era necessario un segno affinché si potesse credere che era stato mandato dalla vera Signora del cielo…
… allorché Juan Diego doveva portare un segno così da poter essere creduto, non riuscì a tornare, perché, quando raggiunse la sua casa, suo zio, di nome Juan Bernardino, si era gravemente ammalato, ed era in pericolo di vita….
Martedì, prima dell’alba, Juan Diego venne dalla sua casa a Tlatilolco per chiamare un prete… Allora fece il giro della collina, girando intorno, per non farsi vedere da colei che vede bene ovunque. La vide scendere dalla cima della collina e stava guardando verso dove si erano incontrati in precedenza.
Si avvicinò a lui sul lato della collina e gli disse: “Cosa c’è, figlio mio? Dove stai andando?” .. [Rispose], “Sappi che un tuo servo è molto malato, mio zio. Ha contratto la peste, ed è vicino alla morte…”
La Santissima Vergine, dopo aver sentito parlare Juan Diego, rispose: “Ascoltami e comprendi bene, figlio mio più piccolo, che nulla deve spaventarti o addolorarti. Non lasciare che il tuo cuore sia turbato. Non temere quella malattia, né qualsiasi altra malattia o angoscia. Non sono qui io, chi è tua Madre? Non sei sotto la mia protezione? Non sono io la tua salute? Non sei felicemente all’interno del mio grembo? Cos’altro desideri? Non affliggerti e non lasciarti disturbare da nulla. Non ti affliggere per la malattia di tuo zio, che non ne morirà adesso. Stai certo che ora è guarito.” (E poi suo zio guarì, come si apprese in seguito.)
Quando Juan Diego udì queste parole della Signora del cielo, ne fu grandemente consolato. Era felice. Pregò di essere scusato per andare a trovare il vescovo, per portargli il segno o la prova, affinché fosse creduto. La Signora del cielo ordinò di salire sulla cima della collina, dove si erano precedentemente incontrati.
Gli disse: “Sali, figlio mio, fino alla cima del colle; là dove mi hai visto e ti ho dato ordini, troverai fiori diversi. Tagliali, raccoglili, riuniscili, poi vieni e portali davanti a me”.
…Scese subito dalla collina e portò le diverse rose che aveva tagliato alla Signora del cielo, la quale, come le vide, le prese con la mano e le rimise di nuovo nella tilma, dicendo: “Figlio mio, questa diversità delle rose è la prova e il segno che porterai al vescovo. Gli dirai a nome mio che vedrà in essa il mio desiderio e che dovrà esaudirlo. Sei il mio ambasciatore, il più degno di ogni fiducia…”.
…il vescovo si rese conto che Juan Diego portava con sé le prove, per confermare quanto era stato richiesto dall’indiano. Ordinò immediatamente di lasciar entrare Juan Diego. Appena dentro, Juan Diego si inginocchiò davanti a lui, come era solito fare, e raccontò di nuovo ciò che aveva visto e ammirato, compreso il messaggio…
Spiegò il suo panno bianco, dove aveva i fiori; e quando furono sparse sul pavimento tutte le diverse varietà di rosas de Castilla, improvvisamente apparve il disegno della preziosa Immagine della sempre Vergine Maria Santissima, Madre di Dio, così come è oggi conservata nel santuario di Tepeyacac, che si chiama Guadalupe…
Quando Juan Diego gli indicò [al vescovo, n. d. r.] il luogo dove la Signora del cielo voleva che fosse costruito il suo santuario, chiese scusa. Voleva tornare a casa per vedere suo zio Juan Bernardino…
Quando arrivarono, videro che lo zio era molto felice e non aveva nulla che lo affliggesse. Rimase molto stupito nel vedere il nipote così accompagnato ed onorato, domandandosi il motivo di tali onori conferitigli. Suo nipote rispose che quando era andato a chiamare un sacerdote per confessarlo e assolverlo, la Signora dal cielo gli era apparsa a Tepeyacac, dicendogli di non affliggersi, che suo zio stava bene, cosa di cui si era molto consolato. E lei lo aveva mandato in Messico, a trovare il vescovo, per costruirle un santuario a Tepeyacac.
Allora lo zio confermò che era vero che in quell’occasione era guarito e che l’aveva vista nello stesso modo in cui era apparsa al nipote, sapendo da lei stessa che lo aveva mandato in Messico a vedere il vescovo. Inoltre la Signora gli aveva detto che quando sarebbe andato a trovare il vescovo, per rivelargli ciò che aveva visto e per spiegargli il modo miracoloso in cui lei lo aveva guarito, lei sarebbe stata propriamente chiamata e conosciuta come la Beata Immagine, la sempre Vergine Maria Santissima di Guadalupe.
Fonti
Luis Laso de la Vega, Huei tlamahuiçoltica (1649).
Disponibile presso l’Università di Houston, Clear Lake
E’ importante anche ricordare come la più antica testimonianza scritta del miracolo di Nostra Signora di Guadalupe, la Nican Mopohua, venne redatta in lingua nahuatl intorno al 1540 da don Antonio Valeriano, uno dei primi indiani aztechi educati dai francescani presso il Collegio Vescovile de la Santa Cruz. Un’illustrazione dell’evento dell’apparizione con le firme di don Antonio Valeriano e del suo maestro padre Bernardino de Sahagún, recante la data 1548 è stata recentemente scoperta in una collezione privata nel 1995, ora denominata Codice 1548. Il Codice 1548 è stato scientificamente determinato essere autentico e comprova la base storica dell’apparizione di Guadalupe.
Il padre gesuita Miguel Sanchez pubblicò la prima opera spagnola su Guadalupe, “Imagen de la Virgen Maria Madre de Dios de Guadalupe” nel 1648. Il frate Luis Lasso de la Vega pubblicò in nahuatl il Nican Mopohua; il Nican Motecpana, un resoconto di quattordici miracoli della Madonna; e altri documenti in una raccolta conosciuta come Huei tlamahuiçoltica, nel 1649. Il teologo Luis Becerra Tanco pubblicò la sua opera sulla tradizione di Guadalupe nel 1675. Infine, il professore di teologia gesuita Francisco de Florencia scrisse il suo resoconto dell’apparizione nel 1688. Questi quattro gli scrittori si sono rivelati importanti nella preservazione della tradizione di Nostra Signora di Guadalupe.
La storia dell’evento è di primaria importanza. La precipitosa conversione di oltre 8 milioni di indiani aztechi al cattolicesimo in sette anni è altamente indicativa del miracolo di Guadalupe. Il dottor Alan Schreck della Franciscan University ha sottolineato che i grandi movimenti storici non possono derivare da non-events [ovvero da “eventi mai accaduti storicamente”. Confronta a tal proposito: Alan Schreck PhD. Historical Foundations. Lecture, Franciscan University, Steubenville, Ohio, 2004. N. d. r.].
L’impatto
La notizia dell’apparizione della madre indiana che aveva lasciato la sua impronta sulla tilma si diffuse a macchia d’olio! Tre punti sono stati apprezzati dalla popolazione nativa. Innanzitutto la signora era indiana, parlava náhuatl, la lingua azteca, e sembrava un’indiana, non una spagnola! In secondo luogo, Juan Diego spiegò che era apparsa a Tepeyac, il luogo di Tonantzin, la divinità madre, inviando un chiaro messaggio che la Vergine Maria era la madre del vero Dio e che la religione cristiana avrebbe sostituito la religione azteca. E in terzo luogo, gli indiani, che avevano imparato attraverso immagini e simboli la loro cultura dell’immagine, colsero appieno il significato della tilma, che ha rivelato il bellissimo messaggio del Cristianesimo: il vero Dio si è sacrificato per l’umanità: invece della vita orrenda che avevano sopportato sacrificando gli esseri umani per placare gli dei spaventosi! Non c’è da meravigliarsi che nei successivi sette anni, dal 1531 al 1538, otto milioni di nativi del Messico si convertirono al cattolicesimo!
La canonizzazione di Juan Diego
Juan Diego Cuauhtlatoatzin, il cui nome in azteco significa: “colui che parla come un aquila”, è stato canonizzato da papa Giovanni Paolo II, il 31 luglio 2002. Queste le parole che il pontefice pronunciò in quell’occasione: “Il messaggio di Cristo, attraverso sua Madre, ha ripreso gli elementi centrali della cultura indigena, li ha purificati e ha dato loro un senso definitivo di salvezza… facilitando l’incontro fruttuoso di due mondi e diventando il catalizzatore di una nuova identità messicana”.
Per la canonizzazione di Juan Diego, la Chiesa Cattolica riconobbe un secondo miracolo: la guarigione miracolosa del ventenne messicano Juan José Barragan Silva, che tentò di suicidarsi a Città del Messico il 3 maggio 1990. Nel volo da un’altezza di dieci metri da cui si gettò, batté violentemente la testa su un marciapiede di cemento.
Riportò gravissime ferite: fratture multiple delle ossa craniche, ematomi endocranici e uno pneumoencefalo. Secondo medici sarebbe dovuta sopravvenire la morte o comunque lesioni cerebrali gravi e permanenti, ma il giovane Juan José fu dimesso dall’ospedale dopo solo dieci giorni.
La Consulta medica della Congregazione per le cause dei Santi, nella seduta del 26 febbraio 1998 concluse: “La guarigione è stata rapida, completa e duratura. Visti i dati obiettivi della dinamica della caduta e la negatività di lesioni che dovevano risultare mortali, vista l’attendibilità delle testimonianze, si ritiene inspiegabile la sopravvivenza del soggetto senza esiti, secondo le conoscenze mediche attuali”.
La madre di Juan José, Esperanza Silva Pacheco, al momento della caduta aveva invocato l’intercessione del beato Juan Diego Cuauhtlatoatzin.
L’immagine sulla tilma
L’impronta di Maria sulla tilma è sorprendente e il simbolismo era rivolto principalmente a Juan Diego e agli aztechi. Maria appare come una bellissima giovane fanciulla indiana con uno sguardo di amore, compassione e umiltà, con le mani giunte in preghiera in segno di riverenza verso Dio Onnipotente. Anche il suo viso non è dissimile da quello di una fanciulla ebrea. Il suo vestito rosa, ornato con un fiore di gelsomino, otto petali di fiori e nove fiori a forma di cuore simbolici della cultura azteca, è quello di una principessa azteca. Il suo mantello blu simboleggia la regalità degli dei e il colore blu simboleggia la vita e l’unità. Le stelle sul mantello indicano l’inizio di una nuova civiltà. La Morenita appare nel giorno del solstizio d’inverno, considerato il giorno della nascita del sole; il manto della Vergine rappresenta fedelmente il solstizio d’inverno del 1531! Maria sta di fronte e nasconde il sole, ma i raggi del sole appaiono ancora intorno a lei, a significare che è più grande del dio del sole, la più grande delle divinità native, ma i raggi del sole portano comunque la luce. Dodici raggi di sole le circondano il viso e la testa. Ella sta sulla luna, sorretta da un angelo con ali come un’aquila: per gli aztechi ciò indicava la sua superiorità rispetto al dio della luna, il dio della notte, e la sua natura divina e regale.
Le stelle sul manto di Maria corrispondono alle stelle del cielo durante il solstizio d’inverno del 1531, come descritto da Mario Rojas Sánchez [Fonte: Manuela Testoni, Our Lady of Guadalupe: History and Meaning of the Apparitions (Staten Island, New York: St. Paul-Alba House, 2001), 1-47].
Quel che appare ancor più sorprendente, e doveroso da aggiungere qui, è l’incredibile prospettiva con cui sono rappresentate le costellazioni celesti presenti sul manto. Si tratta infatti non della normale prospettiva geocentrica, ma di una prospettiva cosmocentrica: ossia come le vedrebbe un osservatore posto al di sopra della volta celeste. Lo ha accertato sempre Mario Rojas Sánchez, traduttore dei testi in lingua náhuatl sull’apparizione e conoscitore della cultura azteca, grazie alla collaborazione dell’osservatorio Laplace di Città di Messico. Le costellazioni sul manto della Vergine corrispondono infatti alle costellazioni visibili sopra Città del Messico nel solstizio d’inverno del 1531, che cadeva proprio il 12 dicembre.
E’ come se Maria avesse voluto lasciare sul suo manto l’immagine delle stelle dalla medesima prospettiva in cui le vide lei stessa: ovvero elevata in alto sul cielo. Questo ci conferma come l’immagine sulla Tilma di Juan Diego coincida con la “donna vestita di sole” dell’Apocalisse (cfr. Apocalisse 12, 1-2).
La sagoma dell’Immagine della Vergine di Guadalupe: all’interno sono segnate le costellazioni presenti sul suo manto
I segni più importanti sono la fascia viola scuro premaman [secondo le usanze locali, n. d. r.], un fiore di gelsomino e una croce presenti nell’immagine. Maria indossa una fascia viola scuro di maternità, a significare che è incinta. Al centro dell’immagine, sopra il suo grembo c’è un fiore di gelsomino a forma di croce indiana, che per gli aztechi è il segno del divino e il centro dell’ordine cosmico. Questo simbolo indica che il bambino che Maria porta in sé, Gesù Cristo, il Verbo fatto carne, è divino ed è il nuovo centro dell’universo. Sulla spilla intorno al suo collo c’è una croce cristiana nera, a indicare che è sia portatrice che seguace di Cristo, il Figlio di Dio, il nostro Salvatore, che morì sulla Croce per salvare l’umanità.
In sintesi, l’immagine significa che Maria porta suo Figlio Cristo nel Nuovo Mondo attraverso una di loro!
Come notò padre Miguel Sanchez nel 1648, non si può fare a meno di identificare Nostra Signora di Guadalupe con la Donna dell’Apocalisse, ricordata nella Bibbia in Apocalisse 12.
La tilma stessa era un mantello indossato dagli indiani dell’epoca, fatto di ayate, una fibra grossolana dell’agave o della pianta maguey [era indossata dagli indios di ceto molto basso ovvero in stato di povertà, n. d. r.]. Il mantello misura 1,5 x 1,4 metri, ed è realizzato in due parti cucite da una cucitura verticale realizzata con filo dello stesso materiale. La vita naturale della fibra va dai 20 ai 30 anni al massimo, ma la tilma e l’immagine rimangono intatte dopo 480 anni, nonostante l’umidità, la manipolazione e le candele!
Le conseguenze immediate
Mons. Zumárraga fu colpito dal miracolo della tilma e questa volta offrì ospitalità a Juan Diego invitandolo a passare la notte. Tolse delicatamente la tilma e la pose nella sua cappella privata, dove tutti pregarono in ringraziamento per il miracolo.
Il giorno seguente partirono per il Tepeyac e Juan Diego mostrò al vescovo Zumárraga il luogo in cui Maria era apparsa. Il vescovo ordinò che sul luogo fosse eretto un piccolo santuario. L’entusiasmo suscitato dall’evento produsse così tanti volontari che il giorno di Natale fu costruita una cappella a Tepeyac.
Juan Diego chiese allora il permesso al vescovo di poter vedere suo zio. Il vescovo insistette perché Juan Diego fosse accompagnato a casa sua e poi riportato al suo palazzo. Juan Diego e Juan Bernardino si ritrovarono con gioia ed entrambi si raccontarono gli eventi miracolosi. Juan Diego portò lo zio al vescovado per mostrargli la tilma, e rimasero ospiti del vescovo fino a Natale. Il convergere della moltitudine dei curiosi spinse il vescovo a spostare la tilma nella Cattedrale affinché tutti potessero meravigliarsi e pregare.
Il 26 dicembre 1531, una solenne processione con il vescovo e Juan Diego, i sacerdoti francescani e i fedeli portò la tilma dalla Cattedrale alla cappella del Tepeyac che divenne nota come l’Eremo. In migliaia parteciparono alla processione. Nell’eccitazione, alcuni indiani lanciarono frecce in aria e una ferì mortalmente un uomo nel corteo. Un sacerdote curò la ferita e furono recitate preghiere alla Vergine e si narra che l’uomo fosse stato miracolosamente guarito. Ciò non fece altro che aumentare il fervore della processione.
Juan Diego andò a vivere in una casetta costruita per lui accanto alla cappella di Tepeyac, mostrando la tilma e spiegando più e più volte l’apparizione e il suo significato cristiano ai pellegrini che visitavano il santuario. Morì pacificamente il 30 maggio 1548 e fu sepolto a Tepeyac. Mons. Zumárraga morì lo stesso anno di Juan Diego.
Il miracolo di Nostra Signora di Guadalupe provocò un’ondata di conversioni. I pochi missionari che inizialmente incontrarono resistenza furono sopraffatti dalla richiesta di battesimi, dalla necessità di predicazione e dall’istruzione nella fede. Uno dei primi missionari, il padre francescano Toribio de Benavente, dichiarò nella sua Historia de Los Indios, pubblicata nel 1541: “devo affermare che nel convento di Quecholac, un altro sacerdote ed io battezzammo 14.200 anime in cinque giorni. Abbiamo anche posto su tutti l’Olio dei Catecumeni e il Santo Crisma.”
La Basilica di Nostra Signora di Guadalupe, sulla sinistra è visibile una statua eretta a papa Giovanni Paolo II
Recenti sviluppi
La Vergine di Guadalupe è letteralmente intrecciata sia con la storia della Chiesa Cattolica nel Nuovo Mondo che con quella dello stesso Messico. Per citare alcuni eventi, le grandi inondazioni del 1629 causarono 30.000 vittime e minacciarono la distruzione della valle del Messico, finché le acque non si calmarono quando l’immagine fu portata in solenne processione da Tepeyac a Città del Messico. Una terribile pestilenza agli inizi del 1700 costò la vita a 700.000 persone e, una volta che la Vergine di Guadalupe fu dichiarata Patrona del Messico il 27 aprile 1737, la malattia si dissipò. Ma prima di ciò, quando il Messico divenne meticcio, l’unione degli spagnoli nati in Messico e degli indiani, La Morenita, o la Vergine scura, divenne il simbolo del popolo, che la ama come una di loro.
Il 14 novembre 1921, durante un periodo di persecuzione cattolica da parte del governo messicano e la conseguente insurrezione dei Cristeros, una potente bomba nascosta tra i fiori esplose direttamente sotto la tilma durante la messa solenne, e distrusse la pietra e il marmo del santuario e frantumò le vetrate della Basilica. Quando il fumo si diradò, la comunità rimase stupita nel constatare che la tilma era rimasta intatta, e il sottile rivestimento protettivo in vetro non era nemmeno incrinato, né alcuno si era fatto male.
Come si è identificata la Madonna? Mons. Zumárraga capì il nome spagnolo Guadalupe, un santuario mariano in Estremadura, Spagna. Ma Maria parlò náhuatl a Juan Diego, e alcuni scrittori suggeriscono che potrebbe aver detto Coatlaxopeuh o qualcuno “che calpesta il serpente”, ricordando Genesi 3,15. D’altra parte, si dice che Juan Gonzalez, l’interprete presente alle conversazioni tra Juan Diego, suo zio e il vescovo, parlasse fluentemente sia il náhuatl che lo spagnolo, quindi qualsiasi interpretazione errata sembrerebbe improbabile.
La tilma di Juan Diego è l’unica immagine divina conosciuta della Beata Vergine Maria che esiste sul nostro pianeta!
Sette milioni [in realtà questo dato è sottostimato: secondo fonti locali si parla di ben 20 milioni di visitatori, sei su dieci sono nazionali e il resto sono stranieri. La metà dei pellegrini che giungono al Santuario lo fanno il 12 dicembre o nei giorni precedenti. La Basilica sulla collina del Tepeyac è il Santuario mariano più visitato al mondo, superando quelli della Vergine di Lourdes, in Francia, e della Vergine di Fatima, in Portogallo, che accolgono rispettivamente tra i 6 e i 7 milioni di pellegrini all’anno, n. d. r.] di persone provenienti dalle Americhe visitano durante il corso dell’anno la Vergine di Guadalupe, soprattutto il 12 dicembre, celebrazione annuale del miracolo. Se si visita Città del Messico, si può vedere chiaramente chi possiede il cuore della gente. Si trova raffigurata la Vergine di Guadalupe ovunque a Città del Messico, negli aeroporti, nei taxi, nelle panetterie, persino agli angoli delle strade. La Madonna è stata il fattore che ha preservato gli indiani aztechi dalla disintegrazione culturale osservata con altre popolazioni indiane come nel Nord America.
Interni del nuovo Santuario di Nostra Signora di Guadalupe, sorto accanto all’antica Basilica per far fronte al gran numero di pellegrini che vi si recano ogni anno
I pontefici nel corso dei secoli hanno riconosciuto Nostra Signora di Guadalupe e papa Giovanni XXIII fu il primo a chiamare la Vergine “Madre delle Americhe”, il 12 ottobre 1961. Giovanni Paolo II fu il primo pontefice a visitare il Santuario di Guadalupe, il 27 gennaio 1979. Il 23 gennaio 1999, nella sua omelia presso la Basilica di Nostra Signora di Guadalupe, papa Giovanni Paolo II, riferendosi a tutte le Americhe come ad un unico Continente, chiamò la Vergine di Guadalupe la Madre dell’America, mostrando una visione profetica del futuro.
La Chiesa Cattolica rimane saldamente radicata in Messico e in America Latina, che oggi vanta almeno il 90% di cattolici. La Chiesa Cattolica degli Stati Uniti, con 77 milioni di cattolici, può attribuire gran parte della sua recente crescita alla popolazione ispanica del Nord America.
Un enigma insoluto da quasi 500 anni
Robert J. Spitzer, SJ, Ph.D., è un sacerdote cattolico dell’ordine dei Gesuiti, che ci fornisce un quadro razionale ed obiettivo sul mistero della tilma, i cui interrogativi sollevati rimangono tutt’oggi insoluti.
Da quel 12 dicembre 1531 infatti, giorno in cui un’immagine di Nostra Signora di Guadalupe apparve sulla tilma del nativo azteco Juan Diego durante la sua visione mariana, gli scienziati hanno faticato a spiegare come quell’immagine sia arrivata lì.
L’immagine stessa ha molti attributi straordinari che rasentano il miracoloso (e probabilmente ce lo indicano!). Nel XX e XXI secolo cinque attributi in particolare hanno attirato l’attenzione scientifica.
1. Il materiale della tilma
2. Come è stata esposta la tilma
3. La tilma non sembra essere dipinta
4. La mancanza di decomposizione della tilma
5. Gli occhi sulla tilma
Il materiale della Tilma
Il materiale della tilma ha mantenuto la sua integrità chimica e strutturale per quasi 500 anni. Questo è davvero notevole! La maggior parte delle riproduzioni della tilma con la stessa composizione chimica e strutturale durano solo quindici anni prima della loro decomposizione .
Come è stata esposta la Tilma
Per i suoi primi 115 anni la tilma venne esposta senza vetro protettivo. Questo l’ha sottoposta a fuliggine, cera di candela, incenso e contatto fisico con i devoti. Allo stato attuale non esiste una spiegazione scientifica per la sua longevità fisica e chimica.
La Tilma non sembra dipinta
Ci sono diverse parti del tessuto che sono state dipinte qualche tempo dopo la creazione dell’immagine originale. Queste parti includono la luna sotto i piedi della Vergine, l’angelo che regge il mantello e i raggi provenienti dall’immagine .
L’immagine originale della Vergine stessa, tuttavia, non sembra essere stata dipinta da un artista. Non c’è nessuno schizzo sotto, nessuna pennellata e nessuna correzione. Sembra che sia stato prodotto in un unico passaggio. Queste caratteristiche sono state identificate attraverso test scientifici condotti dal dottor Philip Serna Callahan, biofisico presso l’Università della Florida e consulente della NASA . Fotografò l’immagine sotto la luce infrarossa e pubblicò le sue scoperte nel 1981 in un articolo intitolato “The Tilma under Infrared Radiation”.
Ma bisogna sottolineare, su quanto affermato dal padre gesuita Robert J. Spitzer, che «non tutti gli scienziati sono d’accordo su questo, perché sia la più antica descrizione dell’immagine, In tilmatzintli, scritta con ogni probabilità da Antonio Valeriano nella seconda metà del secolo XVI e pubblicata da Luis Lasso de la Vega nel 1649 insieme con il Nican mopohua, sia la copia presente alla battaglia di Lepanto, quindi anteriore al 1571, mostrano l’immagine come ci appare oggi».
A scrivere è Antonino Grasso, laico della diocesi di Acireale con dottorato in teologia e specializzazione in mariologia presso la Pontificia Facoltà Teologica “Marianum” di Roma. Grasso è autore inoltre di numerosi articoli e di un libro sull’argomento: “Guadalupe. Le apparizioni della ‘Perfetta Vergine Maria’”, Gribaudi, Milano, 1998.
«È quindi più probabile – continua Grasso – che gli interventi di mano umana individuati da Philip Serna Callahan siano, più che aggiunte, dei semplici ritocchi. In ogni caso, è significativo che anche le fotografie all’infrarosso abbiano dimostrato la natura “non manufatta” della parte essenziale dell’immagine guadalupana».
La mancanza di decomposizione della Tilma
Il dottor Philip Callahan ha anche notato che l’immagine originale sulla tilma non si era incrinata, sfaldata o deteriorata in quasi 500 anni. La vernice aggiunta e la foglia d’oro si erano sfaldate o deteriorate notevolmente. Questo fenomeno non è stato ancora spiegato scientificamente .
Gli occhi sulla Tilma
Gli occhi della Vergine hanno tre qualità notevoli che non possono essere spiegate con la tecnologia conosciuta nel 1531. Ciascuno di essi sarebbe difficile persino da replicare con la tecnologia odierna dei computer, delle conoscenze oftalmologiche e della fotografia digitale .
L’ingegnere Jose Aste Tonsmann ha amplificato di 2500 volte l’immagine delle pupille della Beata Vergine. Ciò gli ha permesso di identificare non solo quella che sembra essere l’immagine del vescovo Zumarraga, ma anche diversi altri testimoni del miracolo ivi riflessi.
Le immagini nelle pupille manifestano anche il triplo riflesso chiamato effetto Purkinje-Sanson. Questo effetto era completamente sconosciuto al momento della formazione dell’immagine.
L’immagine negli occhi della Vergine segue la curvatura della cornea esattamente come avviene in un normale occhio umano.
Una rappresentazione ingrandita di uno degli occhi dell’immagine originale di Nostra Signora di Guadalupe impressa sulla tilma
Tilma di Juan Diego: una straordinaria fonte di conversione
Esposta nella Cattedrale in cima alla collina di Tepeyac in Messico, l’immagine di Nostra Signora di Guadalupe sulla Tilma di Juan Diego è stata una notevole fonte di conversione al cattolicesimo in tutto il Messico .
È stata anche fonte di forza e di grazia per la religione cattolica nel suo insieme, soprattutto in tempi di persecuzione e secolarismo. Il messaggio della Madonna a Juan Diego, pieno di amore e di affetto per i popoli indigeni dell’emisfero occidentale, ha ispirato decine di migliaia di persone. Fino ad oggi è arrivato il suo messaggio, che ormai è considerata la patrona di tutte le Americhe.
L’influenza di questa singola devozione è stata così grande che, vedendo l’immagine per la prima volta nel 1754, papa Benedetto XIV pianse e pronunciò le parole del Salmo 147: «Dio non si è comportato allo stesso modo con nessun’altra nazione».
Altre constatazioni sulla Tilma che risultano inspiegabili:
Alle considerazioni espresse dal sacerdote gesuita Robert J. Spitzer, si devono sottolineare altri fatti fondamentali. Come riporta la stessa Wikipedia:
1. Il telo (in fibra di agave) è di immagine grossolana: gli spazi vuoti presenti tra l’ordito e la trama sono così numerosi che ci si può guardare attraverso.
2. Nonostante in Messico il clima (caratterizzato da un’atmosfera ricca di salnitro) causi il rapido deterioramento dei tessuti (specialmente di quelli in fibra vegetale), la tilma invece si è conservata pressoché intatta per circa cinquecento anni.
3. L’immagine non ha alcun tipo di fondo, tanto che si può guardare da parte a parte del telo (questo è un elemento a sostegno dell’ipotesi che si tratti di un’immagine acheropita). Già nel 1666 la tilma fu esaminata da un gruppo di pittori e di medici per osservarne la composizione: essi asserirono che era impossibile che l’immagine, così nitida, fosse stata dipinta sulla tela senza alcuna preparazione di fondo, e inoltre che nei 135 anni trascorsi dall’apparizione, nell’ambiente caldo e umido in cui era conservata, essa avrebbe dovuto distruggersi. Nel 1788, per provare sperimentalmente questo fatto, venne eseguita una copia sullo stesso tipo di tessuto: esposta sull’altare del santuario, già dopo soli otto anni era rovinata. Al contrario l’immagine originale, a distanza di quasi 500 anni, è ancora sostanzialmente intatta.
A tal proposito Antonino Grasso, nel suo “Guadalupe. Le apparizioni della ‘Perfetta Vergine Maria’”, Ed. Gribaudi, ci dà informazioni più dettagliate sull’esperimento «condotto dal medico José Ignacio Bartolache, il quale tra il 1785 e il 1787, fece realizzare da filatori e tessitori indigeni, diversi ayates, il più possibile simili a quello di Juan Diego. Dopo diversi tentativi e scelti quelli che sembrano più vicini, all’occhio e al tatto, all’originale, incaricò cinque pittori di eseguire copie della Morenita sulla tela non preparata, adoperando i colori e le tecniche di pittura in uso al tempo delle apparizioni. Una delle copie, precisamente quella dipinta nel 1788 da Rafael Gutiérrez, viene collocata il 12 settembre del 1789 sull’altare della Capilla del Pocito, da poco eretta accanto al santuario, ma ci rimane solo pochi anni: nonostante fosse protetta da due spessi cristalli, dovette essere rimossa dall’altare già nel 1796, perché completamente rovinata».
4. La tecnica usata per realizzare l’immagine è un mistero: alcune parti sono affrescate, altre sembrano a guazzo altre ancora (certe zone del cielo) sembrano fatte a olio (elemento a sostegno dell’ipotesi che si tratti di un’immagine acheropita: ovvero non realizzata da mano umana).
5. Gli aztechi dipingevano i volti in modo elementare usando la prospettiva frontale o quella di profilo. La figura presente sulla tilma è, invece, rappresentata con la prospettiva di un volto leggermente piegato in avanti e visto di tre quarti. La realizzazione dell’immagine (se fosse stata realizzata da mano umana) richiede capacità superiori a quelle esistenti all’epoca in Messico; parimenti, nessun artista occidentale era attivo nella regione in quegli anni (elemento a sostegno dell’ipotesi dell’origine acheropita dell’immagine).
6. I caratteri somatici della donna raffigurata sono quelli tipici di una persona di sangue misto, meticcia. L’immagine risale a pochi anni dopo la conquista del Messico, quando il tipo meticcio era assolutamente minoritario. La Madonna di Guadalupe prefigura un tipo di popolazione che diverrà maggioritario solo dopo alcune generazioni. Rimane un mistero come il presunto autore abbia raffigurato in forma così perfetta un soggetto allora così poco diffuso (elemento a sostegno dell’ipotesi dell’origine acheropita dell’immagine).
7. Particolarità singolari presenti e riscontrate sugli occhi dell’immagine sono assolutamente inspiegabili se si ritiene che l’immagine sia stata realizzata da mano umana.
8. Nel 1791 si rovesciò accidentalmente acido muriatico sul lato superiore destro della tela. In un lasso di 30 giorni, senza nessun trattamento, si sarebbe ricostituito miracolosamente il tessuto danneggiato.
9. Nel 1936 il chimico Richard Kuhn esaminò due fibre di colore diverso prelevate dal mantello: analizzate, non mostrarono la presenza di alcun pigmento.
Nel 1979 Philip Serna Callahan [come già riportato sopra, n. d. r.] scattò una serie di fotografie all’infrarosso. L’esame di queste foto rivelò che, mentre alcune parti dell’immagine erano dipinte (potrebbero essere state aggiunte in un secondo momento), la figura di Maria era impressa direttamente sulle fibre del tessuto; solo le dita delle mani apparivano ritoccate per ridurne la lunghezza.
10. Nel 1951 il fotografo José Carlos Salinas Chávez dichiarò che in entrambe le pupille di Maria, fortemente ingrandite, si vedeva riflessa la testa di Juan Diego. Nel 1977 l’ingegnere peruviano José Aste Tonsmann analizzò al computer le fotografie ingrandite 2500 volte e affermò che si vedono ben cinque figure: Juan Diego nell’atto di aprire il proprio mantello, il vescovo Juan de Zumárraga, due altri uomini (uno dei quali sarebbe quello originariamente identificato come Juan Diego) e una donna. Al centro delle pupille si vedrebbe inoltre un’altra scena, più piccola, anche questa con diversi personaggi. Nella puntata di Voyager del 12 ottobre 2009, viene detto che i personaggi fino a quel momento trovati sono 13.
11. La tilma mantiene sempre una temperatura costante di 36,6 °C, corrispondente alla temperatura media del corpo umano.
L’angolo di inclinazione della testa della Beata Vergine di Guadalupe
Il dottor Juan Hernández nel 1981 fece, dopo alcuni studi sulla Tilma, una scoperta sorprendente. Si accorse infatti che lo sguardo della Beata Vergine, rivolto verso il basso, presentava una particolare inclinazione: tracciando una linea retta verticale che parta dalla parte superiore della testa e un’altra che passi per l’angolo di inclinazione della testa, ha constatato con un goniometro che l’angolo di inclinazione nel punto in cui le due linee si incrociavano era di 23,5°. Alle stesse identiche conclusioni è arrivato A. J. Clishem, poeta impegnato nella formazione diaconale nella diocesi di Joliet, Illinois.
Lo sguardo di Maria, dalla sua posizione celeste è orientato con un’angolazione di 23,5°: la stessa che ha l’asse di inclinazione della terra rispetto al sole.
Secondo Clishem, Nostra Signora di Guadalupe, dalla sua posizione in cielo e vestita di sole, orienta il suo sguardo di 23,5° per poter catturare l’umanità intera – un’umanità che si è “inclinata” lontano da Dio.
I Cristeros
Come si è visto, la Sacra Immagine della Tilma di Juan Diego divenne lungo i secoli successivi un elemento di forte carattere identitario e di coesione della popolazione, preservando gli indiani aztechi dalla disintegrazione etnica e culturale, come invece accadde purtroppo agli indiani del Nord America.
Si può ben affermare inoltre che Nostra Signora di Guadalupe sia stata l’artefice di una delle più grandi conversioni di massa al cattolicesimo della storia di tutti i tempi.
Un cattolicesimo che ha dimostrato fra l’altro di possedere radici solide e profonde, non contaminate dal sincretismo religioso o dal paganesimo ancora presente sul territorio. Benché alcuni oggi vorrebbero falsamente insinuare – o dare erroneamente per scontato – il contrario. Mi riferisco in primis agli articoli di parecchi giornalisti e alle superficiali affermazioni diffuse dai vari mezzi di comunicazione di massa.
A sostegno di tale tesi, vale la pena di ricordare una rivoluzione avvenuta in Messico in tempi relativamente recenti, poiché stiamo parlando della prima metà del Novecento.
E’ una rivoluzione di cui non si parla e non a caso. Si tratta della Cristiada.
«La Cristiada non fu una “Primavera araba”, ma una rivoluzione realmente spontanea e autonoma». A parlare della guerra civile messicana degli anni Venti è Mario Iannaccone, giornalista di Avvenire e autore di “Cristiada” (Lindau). «I Cristeros, gli uomini armati di pistola e croce, che dal 1925 al 1929 combatterono il governo autocratico di Plutarco Calles, non volevano il potere. Furono costretti a prendere le armi per la sopravvivenza della Chiesa», spiega l’autore a tempi.it. «Difendevano il loro diritto a ricevere i sacramenti, reso impossibile dalle leggi illiberali di Calles e promosse già da un decennio dagli “uomini di Sonora”, l’élite massonica che governò il Messico agli inizi del ‘900».
L’insofferenza del popolo messicano contro Sonora iniziò già dal 1914, quando furono varate delle leggi che nei fatti condussero all’abolizione di ogni rito religioso.
Continua Iannaccone: «Il governo federale obbligò i preti a sposarsi, espulse i vescovi e continuò a perseguitare i cattolici con ogni mezzo. Nel 1925 la misura fu colma, si susseguirono molte veglie e alla fine di una di queste, il popolo decise di non aver altro mezzo per difendersi che ricorrere alle armi».
Una scena tratta dal film: “Cristiada”, diretto da Dean Wright nel 2012
«È un’opera di propaganda politica e di manipolazione storica perpetuata dall’élite massonica messicana. I cattolici messicani erano totalmente isolati dal mondo, persino dal Vaticano. Gli Stati Uniti d’America avevano rapporti economici di notevole entità con il regime di Calles, e perciò pur essendo a conoscenza delle persecuzioni ritennero conveniente il silenzio. La versione dei fatti che affermava che i Cristeros fossero appoggiati da potenze reazionarie avrebbe resistito per molti altri anni se non fosse stato per il grande lavoro dello storico francese Jean Meyer. Dopo il suo lavoro, corredato anche da interviste agli ultimi Cristeros ancora in vita, la storiografia concorda nel ritenere che la Cristiada fu una ribellione spontanea e autonoma».
Durante il regime di Calles, ci racconta padre Francisco Elizalde, «l’esercito cominciò a entrare nelle chiese, uccidendo la gente che partecipava alla messa, profanando il Santissimo Sacramento. I sacerdoti furono uccisi, la gente, ragazzini compresi, fu torturata, impiccata e appesa ai pali della luce così che tutti vedessero. Molti preti non messicani e alcuni vescovi furono invece cacciati dal Paese».
Tuttavia rimane doveroso aggiungere – a quanto riporta il sito tempi.it – come “l’élite massonica messicana” altro non fu che la longa manus dello stato profondo americano. Quel braccio anglo sionista che si macchiò negli ultimi secoli dei delitti più crudeli ed efferati non risparmiando i più deboli: anzi, accanendosi contro di essi. Lo schema del terrore fu sempre lo stesso, usato universalmente dalla massoneria mondiale: si andava dalla fucilazione di civili inermi, compresi i bambini, utilizzato nel Meridione d’Italia dall’esercito dei Savoia, alla rivoluzione russa con lo sterminio di milioni di persone, alle fucilazioni di preti e fascisti (o presunti tali) nel primo dopoguerra italiano.
Quello stesso braccio anglo sionista che successivamente, alla fine del Novecento, decise strategicamente di invadere il Sud America con un disparato numero di sette, alcune delle quali, pur facendo esplicitamente il nome di Gesù Cristo all’interno dei loro credi, si rivelarono in sostanza tutt’altro che cristiane.
Lo scopo voluto fu sempre il medesimo: la distruzione di quel cattolicesimo che, dopo le apparizioni a Juan Diego nel 1531 e l’impressione sulla sua tilma dell’Immagine di Maria Santissima di Guadalupe, attecchì tanto profondamente nel Centro e Sud America.
E’ importante infatti sottolineare come i Cristeros portassero con loro in battaglia la bandiera con i colori del Messico, dove al centro campeggiava l’Immagine della Madonna di Guadalupe.
Capi Cristeros con la bandiera messicana sul cui centro campeggia l’Effigie della Madonna di Guadalupe
Il toccante film messicano Cristiada, diretto da Dean Wright nel 2012, ci racconta in modo molto veritiero l’insurrezione popolare dei Cristeros in Messico, nella seconda metà degli anni Venti del secolo scorso, contro le leggi liberticide di Plutarco Elìas Calles, presidente della Repubblica massone e acerrimo nemico del cattolicesimo.
Anche se la critica messicana osannò il film, per la profondità dei contenuti e per la fedeltà alla storia vera, ebbe comunque grosse difficoltà di distribuzione in Europa. Malgrado vantasse un cast d’eccellenza, come Andy Garcia, Peter O’Toole ed Eva Longoria. In Italia esso fu distribuito solo nell’ottobre 2014, per iniziativa di Dominus Production.
Dopo i titoli di coda del film diretto da Wright viene mostrata l’immagine originale dell’esecuzione di padre Miguel Agustín Pro, che apre le braccia a croce mentre subisce il martirio.
Una famosa fotografia che testimonia le impiccagioni dei Cristeros, utilizzata per ricreare una scena del film. Le forze governative impiccarono infatti i Cristeros sulle principali arterie del Messico, lasciando i corpi appesi spesso per lunghi periodi di tempo
Non è difficile capire il motivo dell’ostracismo che accompagnò il tentativo di distribuire il film nel Vecchio Continente. Quel che non si doveva far conoscere agli europei, infatti, era la storia vera della ferocissima persecuzione cui furono sottoposti i cristiani in Messico, e la fiera resistenza che invece essi opposero, rifiutandosi di abiurare la fede e preferendo piuttosto la morte.
“Viva Cristo Rey!”
Come José Sánchez del Rio, portabandiera di soli 13 anni dei Cristeros, che fu torturato e ucciso barbaramente perché si rifiutò di urlare: “Muerte a Cristo Rey!”. Si era unito ai Cristeros dopo aver assistito al martirio di un sacerdote cattolico ad opera dei Federales. Catturato durante uno scontro con essi, in quanto cedette il suo cavallo a un referente dei Cristeros salvandogli così la vita, José venne sottoposto a tortura tanto da dover gridare: “Cristo dame fuerza!”.
José Sánchez del Río (Sahuayo 1913-1928)
Ma il ragazzo non rinunciò coraggiosamente alla sua fede, riuscendo di nascosto anche a ricevere l’Eucaristia da una zia mentre si trovava detenuto in carcere.
Lo costrinsero ad arrivare a piedi fino al cimitero dopo avergli scuoiato la pianta dei piedi e lo ferirono più volte con un’arma da taglio non mortalmente, perché si convincesse a rinnegare la sua fede e perché non si udisse il rumore degli spari in paese. Fu del tutto inutile, tanto che il capitano si innervosì a tal punto da finirlo egli stesso con un colpo di pistola.
Morì, dopo aver chiesto perdono per i suoi assassini, gridando: “Viva Cristo Rey!”.
Papa Benedetto XVI ha beatificato José nel 2005, con altri dodici martiri tra i Cristeros, come uno degli atti iniziali del suo pontificato. José Sánchez è stato poi proclamato Santo il 16 ottobre 2016 da Jorge Mario Bergoglio, al termine del processo di canonizzazione. Il suo corpo è conservato ancora oggi totalmente incorrotto nella Cattedrale di Morelia.
Come miracolo ritenuto valido per la canonizzazione è stata riconosciuta la guarigione di una bambina, Ximena Guadalupe Magallón Gálvez, inspiegabile da un punto di vista scientifico. Nata nel 2008, la piccola era stata colpita da un ictus devastante appena pochi mesi dopo la nascita, a causa del quale le era stata data una prognosi che prevedeva solo tre giorni di vita. I genitori l’avevano affidata all’intercessione del beato José, e dopo che i medici avevano deciso di staccarla dai macchinari che la tenevano in vita, Ximena aveva invece aperto gli occhi e aveva sorriso. La bambina è poi tornata alla completa normalità.
Un interrogativo fondamentale
La storia di questa rivoluzione popolare, nascosta ai più, ci lascia con un interrogativo importante, anzi fondamentale. Cosa ha dato tanta forza persino a ragazzini di soli 14 anni?
Mentre il piccolo Josè era in prigione, torturato ed umiliato, scrisse alla madre una lettera piena di affetto e consolazione dove affermava che “non era mai stato così facile guadagnarsi il cielo”.
Già. Quel cielo stellato che la Vergine di Guadalupe decise di far irrompere nel Nuovo Mondo insieme al suo Figlio, Cristo Gesù, nel solstizio d’inverno di quel lontano 1531.
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