Infondatezza delle accuse contro i pontefici postconciliari
Da molto tempo ormai assistiamo a discorsi chilometrici, svariate testimonianze, un fiorire di siti web, accomunati tutti da un unico intento: convincere i cattolici che i pontefici succeduti a papa Pio XII siano, benché eletti, illegittimi e quindi privi di ogni autorità papale.
Fiumi di parole messi insieme da una buona parte dei conservatori lungo il corso degli anni su questo spinoso argomento. Le ragioni risiederebbero – secondo quanto riporta un articolo del giornalista Cesare Sacchetti – nel fatto che, a detta di un aristocratico di origine rumena, un certo Paul Scortesco, nel conclave che si tenne dopo la morte di Pio XII sarebbero stati eletti al soglio pontificio il cardinale Siri prima e il cardinale Federico Tedeschini poi. Tra gli altri a sostegno di tale tesi, Paul L. Williams, ex agente dell’FBI, che ricostruì le fasi che portarono all’elezione di Siri e nel suo libro uscito nel 2003 intitolato “The Vatican Exposed: Money, Murder, and the Mafia” cita alcuni documenti declassificati del dipartimento di Stato americano che contribuiscono a ricostruire l’esatta cronologia degli eventi che portò all’elezione di Siri prima e di Tedeschini poi.
A parte l’impossibilità di raggiungere il sito con i suddetti documenti, dobbiamo fare una considerazione di base.
A precedere queste affermazioni è circolato sul web un video dove mons. Carlo Maria Viganò ha parlato a lungo delle dimissioni di papa Benedetto XVI e di una corrispondenza con mons. Nicola Bux, che proverebbe come papa Benedetto si fosse realmente dimesso e liquidando le controversie come del tutto infondate.
Tuttavia la Declaratio di dimissioni di Benedetto XVI è stata redatta in un latino approssimativo, pieno di errori, da un teologo del calibro di Joseph Ratzinger che vantava la padronanza assoluta di tale lingua. Inoltre, è noto come Benedetto XVI abbia continuato a pubblicare i suoi libri apponendo la firma autografa “Benedetto PP XVI”. La sigla PP significa Pastor pastorum (o Pater Patrum) ed è la prerogativa del papa regnante. Questi sono fatti oggettivi.
Invece, non si può dire lo stesso di tutto il resto. Mons. Viganò cita fonti precise, che non sono tuttavia mai state rese pubbliche: le lettere della corrispondenza tra Bux e Benedetto XVI nessuno le ha mai viste.
Mentre le affermazioni del giornalista Sacchetti si fondano su testimonianze di parte o non suffragate da prove, non essendo possibile visionare le fonti. Non risulta possibile nemmeno la lettura di quei famosi documenti declassificati del Dipartimento di Stato americano, che tratterebbero sulle vicende del conclave per le elezioni pontificie dell’ottobre del 1958.
In ogni modo, non è affatto detto che da quei documenti emerga la verità: vedremo più avanti quanti numerosi attacchi provenienti dal deep state americano, e quindi dall’alta massoneria, sono stati rivolti contro i pontefici postconciliari e quali siano gli enormi interessi in gioco.
Senza entrare nei dettagli, una pioggia di accuse infamanti è caduta sui cosiddetti “papi del Concilio”: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Si salva solo, tra i pontefici postconciliari, papa Giovanni Paolo I, probabilmente perché il suo pontificato durò – come è noto – appena un mese.
Giovanni Battista Montini (1897-1978) in braccio alla madre e insieme al fratello Lodovico in una fotografia scattata alla fine dell’Ottocento
Gli oltraggi contro papa Paolo VI: è giunto il momento di far luce sulla storia
Vorrei soffermarmi adesso su un bersaglio prediletto dai cosiddetti gruppi “tradizionalisti”: papa Paolo VI. Le accuse piovono a iosa e le parole oltraggiose pure. Antipapa, massone, traditore e persino omosessuale.
Montini, uomo così sfacciato e volgare da essere stato sorpreso, nel lontano 1925, guancia a guancia con un marinaio in un pubblico vespasiano. Il Ministero degli Interni conserverebbe ancora gli atti. Così ci informa sempre Cesare Sacchetti dal suo blog.
Quel di cui non si parla, tuttavia, è la contestualizzazione storica dei fatti. A parte il fatto che dobbiamo prendere atto di come ancora una volta non sia possibile visionare direttamente gli atti citati del Ministero degli Interni durante il periodo del Fascismo, dobbiamo chiederci: Paolo VI, allora mons. Giovanni Battista Montini, che ruolo ricopriva? Montini poteva forse dare fastidio a qualcuno? Anche se si trovassero realmente su quegli atti accuse di omosessualità, chi fu a redigere quel documento?
Giovanni Battista Montini in una fotografia scattata nel 1919
E’ noto infatti come in quel famoso Ventennio fossero molti i massoni ad infiltrarsi nelle fila fasciste. E tanti ricoprirono purtroppo incarichi di comando. Molte delle nefandezze che accaddero in quegli anni e di cui si accusò poi Mussolini, in realtà furono opera di massoni che ufficialmente erano iscritti al Partito Nazionale Fascista. Anche papa Pio XI se ne lamentò con forza, benché nutrisse per Benito Mussolini sentimenti di stima.
Solo per portare un esempio, uomo ufficialmente fascista ma che poi risultò essere invece iscritto alla massoneria fu Giovanni Giuriati, il quale ricoprì alte cariche dello Stato Italiano durante il Ventennio fascista oltre a ricevere numerose onorificenze dal 1915 al 1932.
L’incarico di Montini nella Fuci
Come ci riporta la stessa Wikipedia, «nell’ottobre 1925 fu nominato assistente ecclesiastico nazionale della FUCI. Collaborò con il presidente nazionale Igino Righetti, che era stato nominato nello stesso anno, e i due si trovarono ad agire in un iniziale clima di diffidenza, rasserenatosi solo col tempo, tra studenti che vedevano con sospetto la nuova dirigenza imposta forzosamente dalle gerarchie. Montini sperimentò ben presto le resistenze opposte da alcuni ambienti della Chiesa (come i Gesuiti) che resero difficile il suo compito e lo portarono, nel giro di meno di otto anni, alle dimissioni. Tali resistenze originavano da divisioni ecclesiastiche non solo sul comportamenti da tenere nei confronti del Fascismo, ma anche sugli atteggiamenti culturali e le scelte educative».
La F.U.C.I., per chi non lo sapesse, è la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, è una federazione di gruppi di studenti universitari cattolici. Ancora Wikipedia ci informa che «ha rappresentato uno dei capisaldi della formazione degli intellettuali cattolici italiani del XX secolo, e fu anche l’unica associazione cattolica riconosciuta nelle università durante il ventennio fascista, nella quale si formò buona parte della futura classe dirigente della Democrazia Cristiana. Ancora oggi è attiva nella formazione alla politica e alla responsabilità civile ed ecclesiale delle coscienze degli studenti universitari».
Dunque il ruolo politico rivestito dalla federazione già dall’inizio del secolo è chiave. Se solo pensiamo al potere e all’importanza che il partito della Democrazia Cristiana ha rivestito in Italia dal dopoguerra fino agli anni Ottanta, possiamo capire che Montini si trovò ad affrontare un incarico quantomeno delicato. E a quanto pare anche molto rognoso.
Non solo, mons. Montini si trovò a scontrarsi con il potentissimo Ordine dei Gesuiti.
E’ evidente che Montini in quegli anni dovette farsi necessariamente molti nemici e l’opposizione che incontrò nello svolgere il suo ruolo fu tale da costringerlo infine alle dimissioni. In questo clima arroventato, è facile, quasi scontato, trovare chi tenti di farti le scarpe.
E allora l’accusa ormai sventagliata a iosa sui vari blog e i tanti siti dei “tradizionalisti” più accaniti ed estremisti, semplicemente non regge.
Non regge, tanto più che Montini, poi papa Paolo VI, fu ancora infamato, stavolta mentre era pontefice, da altre presunte accuse di omosessualità, ma di cui non esiste alcuna prova: emerge invece con forza il tentativo ordito ai suoi danni per trascinarlo nel fango.
Le calunnie
Su questo fatto storico Sacchetti tace. Ma la storia non si può cancellare. Ad accusare il papa stavolta fu un omosessuale dichiarato: lo scrittore francese Roger Peyrefitte.
L’anno è il 1976, poco dopo che, il 29 dicembre 1975, la Congregazione per la dottrina della fede, con il documento Persona Humana, dichiarava contrarie all’etica della fede l’omosessualità e altre pratiche sessuali.
Come riporta sempre Wikipedia, «tale atto suscitò la protesta di Roger Peyrefitte, cristiano ma apertamente omosessuale ed autore del libro “Le amicizie particolari”. In un articolo al settimanale Tempo, Peyrefitte tacciò il papa di ipocrisia, affermando che – in base ad informazioni riservate ottenute da persone dell’alta nobiltà italiana – Paolo VI alla fine degli anni cinquanta, quando era ancora arcivescovo di Milano, avrebbe avuto una relazione omosessuale con un giovane attore cinematografico.
Durante l’Angelus della Domenica delle Palme del 4 aprile 1976, Paolo VI smentì pubblicamente tali accuse, denunciando “Le cose calunniose e orribili che sono state dette sulla Nostra santa persona…”. In tutto il mondo furono organizzate veglie di preghiera per il papa. In seguito il giornalista Paul Hofmann, corrispondente a Roma del New York Times, riprese le dichiarazioni di Peyrefitte e aggiunse che l’amante del Papa sarebbe stato l’attore Paolo Carlini».
Quel che non si dice, infangando la persona e la memoria di papa Paolo VI, è come le accuse mosse contro di lui siano piovute all’indomani dell’uscita del documento Persona Humana, dove veniva confermata, in conformità all’insegnamento perenne della Chiesa Cattolica, l’inammissibilità assoluta delle pratiche omosessuali e di altre pratiche, come la pedofilia.
La risposta arrivò prontamente con il fango, da un uomo palesemente di parte, un omosessuale dichiarato; ma lo spiacevole accaduto ebbe anche un seguito: scese in campo nientemeno che il prestigioso New York Times.
Il fatto vi ricorda forse qualcosa? Ricordate per caso chi fu ad infangare anni fa la memoria di papa Giovanni Paolo II, tanto da scrivere arrogantemente e candidamente che «il culto a San Giovanni Paolo II dovrebbe essere abolito»?
Fotografia ufficiale di papa Paolo VI (1969)
Per chi non lo ricorda, fu sempre il noto giornale dei Democratici americani, dietro cui si cela il deep state americano, il famoso New York Times. Lo stesso che ha sostenuto la candidatura alle elezioni presidenziali di Barack Obama nel 2008 e di Hillary Clinton nel 2016.
La storia e lo schema usato qui si ripetono: prima l’attacco a papa Paolo VI e poi l’attacco sferrato contro papa Giovanni Paolo II: nel secondo caso dopo la sua morte, perché nessuno osava attaccare apertamente Wojtyla mentre era in vita, sapendo bene di attirarsi addosso con violenza le antipatie popolari.
Anche qui il giornalista Sacchetti ci riporta solo le accuse di omosessualità risalenti al Ventennio fascista, senza contestualizzazione storica, contro Giambattista Montini.
Accuse tanto vergognose e infamanti quanto inverosimili.
Da notare poi che le fonti citate a tal proposito molto spesso da Sacchetti siano Franco Adessa e il mensile Chiesa viva. Adessa prese la direzione del mensile dopo la morte del suo fondatore e direttore, don Luigi Villa. Qui bisogna fare una breve parentesi, spiegando, per chi non sia informato, come Chiesa viva sia stato un periodico schieratissimo e quindi difficilmente al di sopra delle parti.
Giornale dichiaratamente avverso ai papi postconciliari: sulle sue pagine si possono leggere le accuse più orribili contro di loro, quanto in certi casi, all’apparenza abbastanza inverosimili: come, per portare solo un banalissimo esempio, la tesi riportata da Franco Adessa secondo la quale i cittadini di Varese, indignati, non avrebbero assolutamente digerito il monumento voluto a papa Paolo VI in cima al Sacro Monte, tanto che Wojtyla dovette recarsi personalmente in città, ricorrendo al suo personale carisma, per far accettare loro l’odiatissimo monumento.
Questa è una fotografia scattata durante la Messa solenne al Santuario del Sacro Monte di Varese in onore del Beato Paolo VI, il 21 novembre 2014. Come si può vedere dall’immagine, la chiesa è piena di persone accorse alla celebrazione
Monumento di stampo massonico a causa della presenza di una pecorella a cinque zampe, anche se l’accusa di appartenenza alla massoneria rivolta allo scultore è stata smentita categoricamente dalla figlia e la decisione attribuita invece a motivi puramente estetici.
Al di là del giudizio artistico sul monumento, che presenta oggettive stranezze nelle proporzioni, a rendere ancora più improbabile la tesi di Adessa è la devozione che i fedeli continuano a manifestare fino ad oggi per le reliquie di San Paolo VI: a Brescia, per esempio, il Santuario Santa Maria delle Grazie è molto frequentato e meta continua di pellegrinaggi.
I sette tentativi falliti di uccidere don Luigi Villa
A prescindere da qualunque siano state le vere idee o appartenenze dello scultore della statua a Paolo VI, appartenenze che se anche fossero eventualmente confermate non dimostrerebbero nulla, Franco Adessa riporta inoltre ben sette tentativi falliti per assassinare don Luigi Villa, agente anti-massoneria per incarico personale di papa Pio XII, secondo quanto viene affermato. A tutti i tentativi, Villa sarebbe miracolosamente sfuggito.
Qualche considerazione:
Io appartengo a una terra bagnata del sangue dei giusti, per i quali invece non c’è stata né clemenza né scampo.
Non ci fu scampo per il giudice Rosario Livatino, quando la mafia, alias la massoneria, decise di ammazzarlo.
«Picciotti, chi vi fici?», sono state le ultime parole del giovanissimo giudice, poi proclamato beato dalla Chiesa Cattolica.
«Ragazzi, che vi ho fatto?»
Né ci fu scampo per Giovanni Falcone o per Paolo Borsellino quando l’alta massoneria, alias tutti coloro che si riunirono sul panfilo Britannia poco tempo dopo, decisero di ucciderli per impadronirsi di tutto ciò che restava dell’Italia. Il 2 giugno 1992 a bordo del Britanna c’erano Mario Draghi, Romano Prodi, Giulio Tremonti, Carlo Azeglio Ciampi, e anche il comico Beppe Grillo, insieme a banchieri, affaristi, uomini dell’alta finanza internazionale con l’immancabile George Soros, quando si consumò la più grande svendita mai avvenuta prima del patrimonio pubblico italiano alle banche anglo-sioniste.
Ricordo molto bene quei giorni del maggio 1992, quando l’autostrada A29 Palermo – Mazara fu completamente squarciata nel punto dove avvenne la strage del giudice Falcone, della moglie e della sua scorta.
Da quel momento, e per quasi un intero mese, tutti coloro che transitarono sulla A29 diretti verso la città di Palermo, furono costretti ad uscire obbligatoriamente allo svincolo di Capaci, attraversare l’intero paese, per poter poi rientrare in autostrada. Tempo impiegato: non meno di 50 minuti.
In quei giorni, percorrevo anch’io quasi giornalmente quell’autostrada, con direzione Palermo: avrei potuto forse saltare in aria insieme con loro. Questione di un giorno o due, perché l’ora era la medesima.
L’autostrada A29 Palermo-Mazara del Vallo come si presentava subito dopo l’attentato
Come accadde d’altronde a Pizzolungo (provincia di Trapani) il 2 aprile 1985 a una giovane mamma (Barbara Rizzo) che accompagnava a scuola in auto i suoi due bambini di sei anni, saltata in aria alle ore 8:35 al posto del magistrato Carlo Palermo, il vero obiettivo dell’agguato mortale. Il giudice Carlo Palermo chiederà il trasferimento ad altra sede per poi ritirarsi definitivamente dalla magistratura a causa delle continue minacce subite.
Non ci fu scampo nemmeno per il giovane arcivescovo di Monreale, Cataldo Naro, quando la massoneria decise di ucciderlo: dopo che persino le forze dell’ordine latitarono alla chiamata di aiuto da parte dell’autista dell’arcivescovo, allorché fu aggredito, anche l’ospedale tardò i suoi soccorsi quando si sentì male, l’anno successivo, il 29 settembre 2006.
Tardò a soccorrere un arcivescovo morente, contro ogni logica di questo mondo.
E allora, come cavolo fece don Villa a scampare per ben sette volte alla morte, se veramente ci fosse stata l’intenzione di ucciderlo? La fondatezza di tali affermazioni qui proprio non regge, a meno che non vogliamo sostenere che, a voler ammazzare don Villa, fosse stata la donna delle pulizie.
Scusate l’ironia, ma è dovuta, di fronte a tante morti senza appello che la massoneria ha lasciato, non solo in Sicilia, ma in tutta Italia e nel mondo. Ne va di rispetto per quei morti veri, di molti dei quali non conosceremo mai nemmeno i nomi.
La nuda bara di papa Paolo VI
E a proposito di morte, ritorniamo indietro a quel 6 agosto 1978, quando papa Paolo VI fece ritorno alla casa del Padre. I “tradizionalisti” ci dicono che Paolo VI non volle sulla sua bara alcuna insegna cristiana, perché era iscritto segretamente alla massoneria. Ma, come riporta la stessa Wikipedia, «nelle sue ultime disposizioni, Paolo VI chiese che le esequie pontificali fossero fortemente semplificate e prive di fasti. […]
La salma, rivestita senza sfarzo (una semplice casula rossa, pallio, mitra e camice bianchi, mocassini rossi), dopo un primo omaggio riservato agli intimi e alle autorità, venne ricondotta in Vaticano il 9 agosto ed esposta per tre giorni all’omaggio dei fedeli dinnanzi al baldacchino di San Pietro […].
Innovativa e sobria fu anche la messa esequiale, celebrata il 12 agosto, per la prima volta non nella basilica petrina ma in Piazza San Pietro: la salma venne ricomposta in una bara semplicissima, di legno chiaro, che fu deposta a terra sul sagrato; sopra di essa venne posto un Vangelo aperto. Terminata la cerimonia, la cassa, inserita in altre due casse di zinco e legno, fu tumulata nelle Grotte Vaticane [fu espressa volontà da parte del pontefice il seppellimento delle sue spoglie mortali all’interno delle Grotte Vaticane, in prossimità con la tomba dell’apostolo Pietro, n. d. r.].
Fu la prima volta da secoli che il funerale di un pontefice si svolse con un rito così sobrio: i suoi tre immediati successori, che non mancheranno di richiamarsi a Paolo VI e di citarlo come loro guida spirituale, si conformeranno a tali novità».
Quello che non si dice, quando si accusa papa Paolo VI di non aver voluto insegne cristiane sulla bara, è il sentimento di umiltà che ispirò invece quelle volontà. Scriverà nel suo Testamento: «circa le cose di questo mondo: mi propongo di morire povero, e di semplificare così ogni questione al riguardo».
Paolo VI volle un segno unico sulla nuda bara: il Vangelo di Cristo deposto sopra, il lieto annuncio di morte e Resurrezione, quel Kerygma [dal greco κήρυγμα, letteralmente “proclamare”] che costituisce il cuore e il motore di ogni esperienza cristiana, quella Parola di Dio che penetra nelle profondità di corpo e spirito del credente.
La semplice bara di legno chiaro con sopra il Vangelo aperto il giorno dei funerali di papa Paolo VI, il 12 agosto 1978
La tomba di Paolo VI nelle Grotte Vaticane prima della beatificazione
L’apostolo Paolo scriverà nelle sue Lettere che vive per annunciare il Vangelo di Cristo, senza il quale l’esistenza stessa perderebbe il suo significato.
Ma ancora una volta, questo piccolissimo dettaglio viene omesso nella narrativa che sostiene che Paolo VI non fosse cristiano ma massone. Altrettanto opportunamente viene omesso che nella tomba semplice del pontefice, incassata sul pavimento, spicca il segno inconfondibile della sua appartenenza a Cristo.
Il monogramma di Cristo, che campeggia al centro della tomba del papa defunto, è formato da due lettere dell’alfabeto greco, la X (chi) e la P (ro), intrecciate insieme. Sono le prime due lettere della parola greca “Christòs”, cioè Cristo. Nei primi secoli questo monogramma, posto su una tomba, indicava che il defunto era cristiano.
Così scrive papa Paolo VI riflettendo sulla Chiesa nel suo Pensiero alla morte:
«Prego pertanto il Signore che mi dia grazia di fare della mia prossima morte dono d’amore alla Chiesa. Potrei dire che sempre l’ho amata; fu il suo amore che mi trasse fuori dal mio gretto e selvatico egoismo e mi avviò al suo servizio; e che per essa, non per altro, mi pare d’aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse; e che io avessi la forza di dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all’estremo momento della vita si ha il coraggio di fare. […]
Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla. Anche perché non la lascio, non esco da lei, ma più e meglio con essa mi unisco e mi confondo: la morte è un progresso nella comunione dei Santi.»
Queste parole scritte dal pontefice, toccanti e bellissime, ricolme di amore per la Chiesa di cui egli è al servizio, proiettano anche noi verso un futuro pieno di speranza: in fondo la morte non è altro che un mezzo per raggiungere la vita vera, uniti eternamente a Dio insieme alla comunione dei Santi.
Mentre nel suo Testamento, scritto già nel 1965, Paolo VI lascia pensieri e volontà per quanto riguarda la sua morte:
«[…] Raccomando vivamente di disporre per convenienti suffragi e per generose elemosine, per quanto è possibile.
Circa i funerali. Siano pii e semplici. (Si tolga il catafalco ora in uso per le esequie pontificie, per sostituirvi apparato umile e decoroso). La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me.
E circa ciò che più conta, congedandomi dalla scena di questo mondo e andando incontro al giudizio e alla misericordia di Dio: dovrei dire tante cose, tante.
Sullo stato della Chiesa; abbia essa ascolto a qualche nostra parola, che per lei pronunciammo con gravità e con amore.
Sul concilio: si veda di condurlo a buon termine, e si provveda ad eseguirne fedelmente le prescrizioni.
Sull’ecumenismo: si prosegua l’opera di avvicinamento con i Fratelli separati, con molta comprensione, con molta pazienza con grande amore; ma senza deflettere dalla vera dottrina cattolica.
Sul mondo: non si creda di giovargli assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo.»
E’ doveroso qui sottolineare almeno due aspetti.
Il primo, riguardo al Concilio Vaticano II, cui fa cenno il pontefice. Pochi sanno, probabilmente, non conoscendo a fondo i documenti conciliari, che soltanto una piccola parte delle disposizioni contenute in essi è stata concretamente messa in pratica dalla gerarchia ecclesiastica. Il resto è rimasto deliberatamente ignorato: un esempio per tutti è costituito dalla Sacrosanctum Concilium, la Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia (4 dicembre 1963).
Nonostante i progressisti si riempiano continuamente la bocca della parola “Concilio”, non hanno mai desiderato concretamente applicarne le norme: ricordando ancora come il Vaticano II confermi in larga parte la dottrina immutabile della Chiesa Cattolica. Essi si sono serviti invece di quei pochi punti oscuri presenti per interpretarli a loro favore, allo scopo ormai non troppo nascosto di distruggere la fede cattolica.
Il secondo aspetto invece riguarda l’ecumenismo: qui le parole del pontefice sono chiare e non lasciano dubbi: «si prosegua l’opera di avvicinamento con i Fratelli separati, con molta comprensione, con molta pazienza con grande amore; ma senza deflettere dalla vera dottrina cattolica».
Il papa di Cesio non arretra dunque di un millimetro su quanto riguarda la dottrina della Chiesa Cattolica: ogni dialogo paziente in chiave ecumenica o interreligiosa deve tenere conto prima di tutto di questo principio fondamentale.
Basterebbero queste concise e altrettanto chiare affermazioni per convincere a tacere i detrattori di Paolo VI, che da decenni invece spargono vergognose offese sul pontefice defunto.
L’amicizia con Aldo Moro
Infine, ma non ultima, l’amicizia che papa Paolo VI serbò per Aldo Moro, «amico di studi e fratello di fede». Moro ricordava nelle sue lettere, indirizzate al «Beatissimo Padre», la «paterna benevolenza» dimostratagli tante volte.
Il giornalista Sacchetti ha parlato giustamente in un suo articolo molto bene di Moro e del valore morale della sua persona. Ricordando la visione del politico italiano, in anticipo con i suoi tempi, di un’Italia finalmente sovrana, libera dal dominio dell’anglosfera rappresentato dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra.
Cita in proposito l’episodio avvenuto nel 1973, quando Moro rifiutò nettamente di mettere a disposizione degli Stati Uniti le basi militari italiane per supportare Israele nella guerra in Medio Oriente dello Yom Kippur, che imperversava in quegli anni. Moro non voleva che l’Italia partecipasse attivamente al conflitto e si schierasse contro i Paesi Arabi.
A decidere l’assassinio di Moro fu molto probabilmente Henry Kissinger, tedesco di origini ebraiche che fece grande fortuna negli Stati Uniti, dove ricoprì cariche politiche prestigiose e occupò ruoli strategici fino a tarda età.
Fu fondatore nel 1973, insieme a David Rockefeller (a sua volta tra i fondatori del gruppo Bilderberg e in quel periodo anche presidente della Chase Manhattan Bank) e altri dirigenti e notabili, della nota Commissione Trilaterale.
Henry A. Kissinger (1923 – 2023)
Sacchetti riporta come «in un’aula di tribunale nel corso del processo sulla strage di via Fani, lo storico collaboratore di Aldo Moro, Corrado Guerzoni, rivelò che il presidente fu minacciato pesantemente dall’ex segretario di Stato, Henry Kissinger, già nel 1974. E la stessa vedova del presidente, Eleonora Moro, confermava quanto disse Guerzoni. Henry Kissinger rivolse pesanti minacce nei confronti del leader della balena bianca.
All’epoca Moro era il ministro degli Affari Esteri e la sua visione diplomatica stava già uscendo dal seminato che l’atlantismo aveva assegnato all’Italia».
Una verità nascosta al grande pubblico, né scritta sui libri di scuola, anche se – per correttezza – devo ricordare come gli attenti testimoni dell’epoca, come era mio padre, ne furono consapevoli.
Ma dell’amicizia che Aldo Moro condivideva con il Santo Padre non v’è traccia nell’articolo di Sacchetti: non fu soltanto il giovane Bettino Craxi a tentare di salvare la vita di Moro.
Silenzio, anche da parte di tanti giornalisti negli anni successivi, sull’accorato appello che papa Paolo VI volle fare, umiliandosi personalmente, per cercare in ogni modo a lui possibile di salvare l’amico, implorando i rapitori di liberarlo senza condizioni. Silenzio anche sugli avvenimenti successivi, quando il pontefice, infischiandosene dell’etichetta che gli avrebbe impedito di partecipare a una messa esequiale privata, celebrò personalmente un rito funebre in suffragio di Aldo Moro, attirando su di sé non poche critiche.
Paolo VI legge il suo discorso in occasione del rito funebre in memoria di Aldo Moro
Queste le belle parole del papa, profondamente commosso, al rito funebre di Moro:
«Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all’ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il “De profundis”, il grido, il pianto dell’ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce. Signore, ascoltaci! E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui. Signore, ascoltaci!»
Con queste parole Paolo VI espresse i sentimenti di tutta l’Italia, addolorata e attonita per la barbara uccisione del presidente della Democrazia Cristiana.
Era il 13 maggio 1978. Aldo Moro era stato rinvenuto cadavere il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, in via Caetani a Roma.
Paolo VI avrebbe seguito l’amico solo pochi mesi più tardi, lasciando questo mondo il 6 agosto 1978.
Un pontificato travagliato
Papa Paolo VI dovette affrontare un periodo storico molto difficile e fu contestato sia dal mondo esterno alla Chiesa, sia e soprattutto al suo interno. Eravamo all’epoca delle rivoluzioni sessantottine.
Papa Montini si ritrovò tra due fuochi: fra chi voleva la rinuncia della Chiesa alle sue posizioni irrinunciabili, come nel caso di aborto e omosessualità, e fra chi voleva la restaurazione anteriore al Concilio Vaticano II, come mons. Lefebvre e i suoi seguaci.
Due forze interne distruttive dell’unità della Chiesa che Paolo VI difese con fermezza.
Scrive Luigi Accattoli nel 1984: «Secondo Martina [Giacoma Martina, noto storico della Chiesa e autore di svariate pubblicazioni, n. d. r.] gli atteggiamenti di “fermezza” assunti da Paolo VI dopo il 1967 vanno interpretati su una scena più ampia di quella italiana, in riferimento a fenomeni riguardanti l’intera Chiesa Cattolica: “Ecco, dopo il risveglio post-conciliare e in parte ad esso simultanea, la contestazione; ecco il maggio 1968, le occupazioni delle cattedrali, le comunità di base. Ecco la crisi ecclesiale, con la riduzione allo stato laicale di oltre tredicimila sacerdoti, la chiusura di molti seminari vuoti, mentre il processo di secolarizzazione avanzava paurosamente, con il crollo delle vecchie strutture. Alla contestazione di sinistra si oppone quella di destra: Paolo VI si trova fra Franzoni e Lefebvre (…) Paolo VI reagisce con pazienza e fermezza: evita le rotture che potevano divenire definitive, ma ribadisce i principi irrinunciabili del cristianesimo e riafferma alcune linee disciplinari ancora valide. Ecco il “Credo del Popolo di Dio” (1968) e le due encicliche Sacerdotalis coelibatus (1967) e Humanae vitae (1968)». (Coscienza, ottobre 1978, p. 6-8)».
Da sottolineare qui come la “rivoluzione” del 1968 fu voluta e orchestrata sapientemente dallo stato profondo americano (fra tutti, ricordiamo come fosse in piena attività l’onnipresente George Soros), allo scopo di demolire quei valori cristiani che furono alla base della civiltà europea lungo i secoli.
Solo poco tempo fa, e precisamente lo scorso 14 febbraio a Monaco in Germania, il vice presidente degli Stati Uniti, J. D. Vance, ha voluto ricordare all’Europa l’enorme pericolo della perdita dei suoi valori cristiani, nel suo discorso alla conferenza sulla sicurezza, e come questo rischio sia molto più temibile di ogni possibile minaccia proveniente dall’esterno cancellando dalla cultura e dalla storia europea i suoi valori fondamentali.
«La libertà di parola in Europa è in ritirata», ha dichiarato Vance. «[…] Lo scorso ottobre, solo pochi mesi fa, il governo scozzese ha iniziato a distribuire lettere ai cittadini le cui case si trovavano nelle cosiddette zone di accesso sicuro, avvertendoli che persino la preghiera privata nelle proprie case poteva equivalere a violare la legge. Naturalmente, il governo ha esortato i lettori a segnalare qualsiasi concittadino sospettato di reati di opinione in Gran Bretagna e in tutta Europa».
Nella civile e democratica Europa questo processo distruttivo e involutivo ha condotto fino al divieto della preghiera, libertà inviolabile della persona umana, persino all’interno delle proprie abitazioni.
Nemmeno se gli scozzesi si trovassero rinchiusi all’interno dei laogai cinesi!
La corrotta classe politica europea ha pure il coraggio di criticare la Cina, ora che questa ha finito di essere funzionale agli obiettivi della NATO e dell’atlantismo, avvicinandosi alla Russia.
Ed è utile riportare le conclusioni di J. D. Vance, che mettono in risalto anche la stima del vice presidente degli Stati Uniti per un pontefice postconciliare che ha segnato profondamente un’epoca:
«Credere nella democrazia significa capire che ogni cittadino possiede la propria saggezza e la propria voce, e se ci rifiutiamo di ascoltare quella voce, anche le nostre battaglie più riuscite otterranno ben poco. Come disse una volta papa Giovanni Paolo II, a mio avviso uno dei più straordinari difensori della democrazia in questo Continente e in qualsiasi altro: “Non abbiate paura!”.
Non dovremmo avere paura del nostro popolo, anche quando esprime opinioni in disaccordo con la propria leadership. Grazie a tutti. Buona fortuna a tutti voi. Dio vi benedica».
Papa Paolo VI insieme al cardinale Karol Wojtyla, futuro papa Giovanni Paolo II
Paolo VI inginocchiato in adorazione nel Cenacolo a Gerusalemme, nel 1964, durante uno dei suoi viaggi all’estero
Ma facciamo ritorno all’interessante articolo di Luigi Accattoli:
«In ogni modo, comunque lo si interpreti, il fatto di un papa contestato all’interno stesso della comunità cattolica, e persino in Italia, resta innegabile. Ed è un fatto nuovo, rispetto ai pontificati più recenti. Né le critiche dei cattolici liberali contro Pio IX, né quelle dei modernisti contro Pio X avevano avuto tanta eco nella base cattolica quanto ne ebbero i dissensi nei confronti di Paolo VI. Il papa che più aveva rinunciato all’uso dei metodi autoritari e delle condanne risultava il più contestato. Anche in Italia l’Humanae vitae fu l’occasione del dissenso più vasto.
Scrive ancora Martina: “Il gesto di Paolo VI non ha trovato nella base un consenso unanime e risoluto. Paolo VI rischiava di restare isolato, in un certo senso assai più di Pio XII, nel suo sforzo sincero ed eroico di conciliare le esigenze opposte di rinnovamento e di fedeltà allo spirito evangelico” (Giacomo Martina, La Chiesa in Italia negli ultimi trent’anni, Roma, 1977, p. 102).
[…] Alla “impopolarità” di papa Montini, alle difficoltà di dialogo con il mondo e alle contestazioni subite da parte degli stessi cattolici dedicarono due libri, agli inizi degli anni settanta, due agguerriti esponenti del giornalismo laico: Carlo Falconi, La svolta di Paolo VI, Milano, 1971 e Vittorio Gorresio, Il papa e il diavolo, Milano, 1973. In un dibattito ospitato dall’Espresso del 2 settembre 1973 e intitolato “Processo a Paolo VI”, Gorresio così riassumeva la sua tesi del “fallimento”: “I dieci anni di pontificato di Paolo VI sono un ininterrotto tentativo di stabilire un dialogo con il mondo contemporaneo. Questo dialogo Paolo VI non ha saputo stabilirlo. Neppure può dirsi riuscito il suo tentativo di allargare il discorso a tutto il cosiddetto terzo mondo, attraverso i grandi viaggi che il papa ha compiuto. Questi fallimenti si spiegano soprattutto così: nonostante il suo desiderio di avvicinarsi all’uomo di oggi ed alla parte di mondo che non è nemmeno cristiana, Paolo VI si dimostra ancorato a una concezione religiosa che il mondo contemporaneo ormai non accetta più: cioè, in una parola, alla credenza del diavolo, di cui egli ha parlato in un discorso che ha suscitato aspre polemiche in tutto il mondo”».
Dunque, secondo Gorresio, il mondo contemporaneo non accetterebbe più la concezione religiosa che il diavolo possa esistere: è proprio il messaggio che in questi anni, in ogni modo, hanno tentato di farci credere.
Il diavolo non esiste.
Ci troviamo nel mezzo di una società post cristiana dove il diavolo è ormai soltanto un lontano ricordo, solo un vecchio spauracchio del passato che non ci può più fare paura.
In realtà, nascostamente ai più, le opere del satanismo – in tutte le sue forme – sono ampiamente penetrate nel vivere quotidiano di ognuno: dalla cultura della morte e dall’aborto come pratica comunemente accettata dai futuri genitori e dalla classe medica fino all’omosessualità, per arrivare allo sdoganamento completo della pedofilia. Fino alla distruzione della famiglia, proprio come aveva profetizzato suor Lucia dos Santos sul finire degli anni Cinquanta.
In maniera che dell’Europa, del suo vecchio fasto ma soprattutto dei suoi valori rispettosi della persona umana e della cultura, non rimanesse più nulla. Papa Montini aveva ben intravisto il grande pericolo che minacciava la cristianità: ancorato, come scrive Gorresio, fermamente a una concezione insita nel cristianesimo: l’esistenza del diavolo.
Egli è “l’oppositore” per eccellenza ai piani di Dio, con la sua corrosiva azione ininterrotta all’interno della società umana. Il fumo di Satana, come Paolo VI lo definì, era finemente penetrato all’interno della società europea e occidentale.
Ma soprattutto era penetrato sin all’interno della Chiesa Cattolica, ben prima dell’apertura del Concilio Vaticano II.
Tutto il pontificato di Montini sarà teso in questa lotta, subendo nella sua propria persona gli attacchi dell’establishment dominante, già allora profondamene corrotto e votato al diavolo.
Continua ancora Accattoli nel suo articolo: «Falconi, più attrezzato in teologia e storia della Chiesa, così replica a Gorresio: “Nella teologia cattolica tutto tiene in una maniera così profonda, così intima, così sostanziale, che se si toglie un mattone l’edificio crolla. E Paolo VI ha avvertito questo rumore di frana. Nei primi anni del suo pontificato egli aveva dato fiducia anche ai progressisti moderati. L’aveva data, ma l’ha dovuta ritogliere nel momento in cui ha sentito che le prime pietre cominciavano a cadere, che non si fermavano più, che tutto andava in rovina”».
Gli attacchi contro papa Paolo VI trovarono facilissima sponda nella prezzolata stampa italiana. Così, come non accadeva dai tempi di papa Pio X, i disegnatori satirici si permisero di ridicolizzare il pontefice. Si arrivò alle parole – senza cuore – scritte da Eugenio Scalfari, direttore dell’immancabile Repubblica, oggi come è noto proprietà di John Elkann.
Era infatti l’8 agosto (papa Montini era morto alle 21:40 del 6 agosto) quando Repubblica dedicò alla morte del pontefice 11 pagine. Scalfari scrisse nell’editoriale:
«In realtà il pontificato di Paolo VI era finito da quella sera di maggio nella quale, sotto le volte di San Giovanni in Laterano, celebrò la messa funebre per Aldo Moro. Pochi giorni prima si era “inginocchiato” davanti agli “uomini delle Brigate Rosse” […]».
Mentre ancora su Repubblica dell’8 giugno 1978, Giorgio Forattini disegnava un Paolo VI «”incinto” e soddisfatto, a dileggio della sua posizione sull’aborto, come ad affermare la sua contrarietà invincibile ai sentimenti e agli orientamenti del Paese. E questo un mese dopo che la stessa Repubblica aveva esaltato parole e gesti del pontefice nella drammatica circostanza dei funerali di Moro, presentandolo come il solo che avesse saputo interpretare il sentimento nazionale in quell’ora di smarrimento», come scrive ancora il giornalista e vaticanista Luigi Accattoli.
E’ un fatto che la lotta che il pontefice di Cesio ingaggiò contro la cultura dell’aborto fu coraggiosa e tenace, in un momento storico, politico e culturale dove in Italia era stato posto in atto il tentativo di cancellare dall’etica e dalla cultura ogni valore morale proveniente dalla fede cattolica: “il diritto all’aborto” fu uno tra i primissimi obiettivi di quello stesso tentativo.
Oggi a noi può risultare evidente, assai più di allora, quale siano i veri ed enormi interessi dello stato profondo (e quindi della massoneria mondiale) per il grande business dell’aborto: l’interesse per quei minuscoli e innocenti corpicini aspirati e dilaniati, a cui non è stato lasciato scampo.
Si registrano introiti da capogiro per la vendita di feti abortiti destinati alla produzione di cosmetici, alla medicina rigenerativa e alla ricerca. Senza contare gli enormi incassi che fanno le strutture, per lo più private, per l’esecuzione della procedura.
L’industria del farmaco, inoltre, producendo molti vaccini «con colture di cellule e tessuti animali (embrioni di pollo) o umani (tessuti fetali, linee cellulari), tale contaminazione pone dei seri rischi per la salute umana, perché potrebbe essere responsabile di reazioni autoimmuni contro il DNA umano».
L’industria ottiene così, oltre a lauti incassi, anche il risultato di aumentare considerevolmente le possibilità di far ammalare i loro ignari destinatari, i quali ricevono nei loro corpi DNA umano estraneo. Non si tratta qui di ipotesi o di chiacchiere inventate, ma fu messo nero su bianco dalla relazione finale della Commissione Parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, nel febbraio 2018.
Ma sarebbe stato allora troppo in anticipo con i tempi parlare del concetto di “spopolamento” o di Nuovo Ordine Mondiale.
Eppure i fili che hanno condotto la società occidentale al punto in cui si trova oggi sono stati intessuti pazientemente proprio in quei giorni e in quegli anni, durante la così tanto vagheggiata Prima Repubblica.
L’Humanae Vitae e l’incessante battaglia di Paolo VI contro l’aborto
L’enciclica Humanae Vitae vide la luce il 25 luglio 1968 e rappresenta l’esempio più alto di questa sua lotta contro la cultura della morte: papa Montini stesso dichiarò di non aver mai sentito così pesantemente gli oneri del suo alto ufficio per la questione della contraccezione, con la quale si precludeva alla vita coniugale la finalità della procreazione.
Riporto qui la stessa Wikipedia, che cito soprattutto per fornire al lettore un quadro obiettivo e non di parte, quale potrebbe costituire la mia personale opinione:
«[…] Tali questioni furono trattate nella Humanae Vitae del 25 luglio 1968, la sua ultima enciclica. Il dibattito lacerante che si innestò nella società civile su queste posizioni, in un’epoca in cui il Cattolicesimo vedeva sorgere fra i fedeli dei distinguo di laicismo, appannò la sua autorevolezza nei rapporti con il mondo laico. In tale frangente i suoi critici gli affibbiarono il nomignolo di Paolo Mesto.
Il pontefice non poté mettere in disparte il problema, e per la sua gravità destinò al proprio personale giudizio lo studio di tutte le implicazioni di tipo morale legate a tale argomento.
Per avere un quadro completo, decise di avvalersi dell’ausilio di una Commissione di studio, istituita in precedenza da papa Giovanni XXIII, che egli ampliò.
La decisione era molto onerosa, soprattutto perché alcuni misero in dubbio la competenza della Chiesa su temi non strettamente legati alla dottrina religiosa. Tuttavia il papa ribatté a queste critiche, che il Magistero ha facoltà d’intervento, oltre che sulla legge morale evangelica, anche su quella naturale: quindi la Chiesa doveva necessariamente prendere una posizione in merito.
Buona parte della Commissione di studio si mostrò a favore della “pillola cattolica” (come venne soprannominata), ma una parte di essa non condivise questa scelta, ritenendo che l’utilizzo degli anticoncezionali violasse la legge morale, poiché, attraverso il loro impiego, la coppia scindeva la dimensione unitiva da quella procreativa.
Paolo VI appoggiò questa posizione e, riconfermando quanto aveva già dichiarato papa Pio XI nell’enciclica Casti Connubii, decretò illecito per gli sposi cattolici l’utilizzo degli anticoncezionali di natura chimica o artificiale».
Il papa quindi rimase ancorato nelle sue posizioni, confermando la dottrina perenne della Chiesa Cattolica.
Continua Wikipedia: «Questa decisione di papa Montini ricevette molte critiche. Tuttavia, Paolo VI non ritrattò mai il contenuto dell’enciclica, motivando in questi termini a Jean Guitton le proprie ragioni:
“Noi portiamo il peso dell’umanità presente e futura. Bisogna pur comprendere che, se l’uomo accetta di dissociare nell’amore il piacere dalla procreazione (e certamente oggi lo si può dissociare facilmente), se dunque si può prendere a parte il piacere, come si prende una tazza di caffè, se la donna sistemando un apparecchio o prendendo “una medicina” diventa per l’uomo un oggetto, uno strumento, al di fuori della spontaneità, delle tenerezze e delle delicatezze dell’amore, allora non si comprende perché questo modo di procedere (consentito nel matrimonio) sia proibito fuori dal matrimonio. La Chiesa di Cristo, che noi rappresentiamo su questa terra, se cessasse di subordinare il piacere all’amore e l’amore alla procreazione, favorirebbe una snaturazione erotica dell’umanità, che avrebbe per legge soltanto il piacere.”
(Jean Guitton, Paolo VI segreto)
Paolo VI non mancò di smentire quelle posizioni che volevano attribuire al suo operato un tono dubbioso, amletico o malinconico, asserendo che:
“E’ contrario al genio del cattolicesimo, al Regno di Dio, indugiare nel dubbio e nell’incertezza circa la dottrina della fede”».
L’arcivescovo di Milano, mons. Montini, tiene in braccio un bambino fra i sorrisi dei presenti
San Paolo VI
E andiamo all’ultimo atto delle vicende che riguardano il pontefice lombardo: la sua beatificazione e successiva canonizzazione.
I conservatori più accaniti sostengono che la Chiesa abbia voluto canonizzare Paolo VI e Giovanni Paolo II per poter “blindare” il Concilio Vaticano II. Ma è miope e riduttiva questa interpretazione dei fatti, che non tiene o non vuol tenere conto della realtà.
Giovanni Palo II fu proclamato Santo a furor di popolo il giorno stesso dei funerali. Fu lo stesso popolo di Dio, giudice indiscutibile, a volerlo Santo. D’altronde i miracoli compiuti dal pontefice polacco, e richiesti per il processo di canonizzazione, non mancarono.
Per quanto riguarda la canonizzazione di papa Paolo VI, fu lo stesso Giovanni Paolo II a prendere l’iniziativa. Per Wojtyla, Paolo VI era stato guida spirituale e suo ispiratore.
Per quanto riguarda il miracolo che avrebbe consentito la beatificazione di Paolo VI, ci informa Wikipedia che «la guarigione, scientificamente inspiegabile, avvenne negli Stati Uniti nel 2001, di un feto al quinto mese di gravidanza, in condizioni critiche per la rottura della vescica fetale, la presenza di liquido nell’addome e l’assenza di liquido nel sacco amniotico. I medici consigliarono l’interruzione della gravidanza, sostenendo il rischio di morte del piccolo o di gravissime malformazioni future, ma la madre rifiutò e si rivolse in preghiera all’intercessione di Montini. Il parto avvenne tre mesi dopo con taglio cesareo ed il neonato, contrariamente a qualsiasi previsione, risultò essere in buone condizioni».
Paolo VI fu beatificato il 19 ottobre 2014 da Bergoglio in una celebrazione tenutasi in piazza San Pietro a conclusione del sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia.
Wikipedia, che riportò ancora per imparzialità, ci informa che «il 6 marzo 2018, papa Francesco riconobbe un secondo miracolo avvenuto per intercessione di Paolo VI, anche questa volta riguardante un feto: Vanna Pironato, infermiera trentaseienne dell’ospedale di Legnago, e il marito Alberto Tagliaferro erano in attesa della nascita della loro figlia, che avevano deciso di chiamare Amanda, fino a quando un errore commesso durante un esame di villocentesi causò, alla tredicesima settimana di gestazione, la rottura delle membrane e la totale fuoriuscita del liquido amniotico. I medici raccomandarono l’aborto terapeutico, sostenendo che non ci sarebbero state speranze per la piccola, ma i genitori rifiutarono, invocando invece l’intercessione del beato Montini. Il 25 dicembre 2014 Amanda Tagliaferro nacque viva e perfettamente formata, fatto che venne giudicato inspiegabile dal punto di vista clinico».
Per quanto riguarda la villocentesi, è opportuno rilevare qui come il rischio di aborto sia insito nella procedura, che dunque lo può causare anche se perfettamente eseguita.
Oggi infatti è dilagata una vera e propria moda seguita dai genitori in attesa, che consiste nel ricorrere a costosi test genetici per scoprire se c’è rischio di qualche malattia ereditaria.
I test genetici sono ormai molto precisi dal punto di vista tecnico, tuttavia spesso i risultati sono interpretati male (si arriva fino al 35% di casi di scorretta interpretazione) e spingono le mamme in attesa all’interruzione della gravidanza anche se il feto sia in realtà perfettamente sano. Senza contare i rischi di aborto o di danni irreversibili al feto che procedure largamente diffuse come l’amniocentesi o la villocentesi comportano.
La stessa Vanna Pironato ha infatti dichiarato in un’intervista ad Avvenire: «Non è stata colpa di nessuno, si sa che le indagini prenatali danno un 1% di aborti. Fatto sta che il 23 settembre 2014 mi sentii dire dai medici: signora, questo è un aborto certo, non ci sono speranze. Abbiamo consultato i massimi esperti, dal Gemelli di Roma al San Gerardo di Monza, ma tutti ribadivano il verdetto».
E’ interessante ricordare come la madre della piccola non conoscesse affatto la figura di papa Paolo VI: Vanna è nata nel 1978, anno della morte del papa. La donna non si era mai documentata sulla sua figura fino a quando il dott. Paolo Martinelli, ginecologo al “Mater Salutis”, parlò a un’infermiera molto amica di Vanna, dicendole di consigliare alla futura mamma di pregare Paolo VI, che già aveva compiuto miracoli su un altro feto negli Stati Uniti.
Vanna decise allora insieme al marito di recarsi a Brescia a Santa Maria delle Grazie, dove Montini celebrò la sua prima Messa, e sulla panca all’interno del Santuario trovarono un foglio con la supplica da rivolgergli. «C’erano tre puntini al posto del nome per cui chiedere la grazia e quei tre puntini divennero Amanda per tutti gli amici e i parenti, anche le infermiere hanno supplicato incessantemente Paolo VI».
I genitori, da quel momento pregarono incessantemente papa Paolo VI in ogni ora del giorno e della notte; mentre Alberto continuava a sostenere la moglie spronandola ad andare avanti, perché il cuore della bimba, ostinatamente, non cessava di battere.
La mamma entrò in travaglio la notte del Natale 2014 e i genitori si recarono al Policlinico di Borgo Roma (Verona), dotato di un reperto di Patologia neonatale. Vanna chiese ai sanitari di eseguire un parto cesareo ma si sentì opporre un netto rifiuto in quanto era considerato inutile provocare un taglio, visto che per la neonata non c’erano speranze. Il pediatra venne chiamato soltanto su invito del marito Alberto e arrivò – come consigliato dalla ginecologa che assistette il parto – solo, senza la presenza di personale infermieristico. Il parto prematuro si presentava difficile: la bimba era uscita in posizione podalica e restò venti minuti con le piccole gambe fuori e la testa dentro, rischiando l’asfissia e danni irreversibili al cervello. La neonata uscì alle ore 6.58 senza nemmeno vagire, pesava soltanto 865 grammi e la madre era ormai convinta che fosse morta.
Invece la bimba era incredibilmente viva e in buone condizioni generali: lo scheletro e gli organi vitali erano tutti perfettamente formati in modo inspiegabile. La neonata venne intubata dal pediatra, che nel frattempo aveva chiamato anche un’infermiera, con le procedure destinate ai bambini nati molto prematuri: ma Amanda non solo avrebbe superato i primi sette giorni, che sono i più critici per questi neonati, ma non avrebbe manifestato in seguito nessuna delle complicazioni tipiche dei nati prematuri.
Sarebbe rimasta in incubatrice per tre mesi e sarebbe andata a casa l’11 aprile 2015, completamente sana.
Alberto Tagliaferro insieme alla moglie Vanna e ai figli Riccardo e Amanda, il giorno del compleanno della piccola
La bambina è stata battezzata con il nome di Amanda Maria Paola il 19 settembre 2015, esattamente a un anno di distanza dal verdetto di morte certa pronunciato dai medici ai futuri genitori. Una fotografia scattata nel maggio 2018 ritrae Amanda di spalle, con i suoi boccoli bruni, mentre dà un bacio alla gigantografia di Paolo VI all’ingresso della sua casa natale a Concesio, il giorno in cui è stata annunciata la canonizzazione: è questa l’immagine di copertina di Una culla per Amanda, il libro intervista che Andrea Zambrano le ha dedicato (ed. Ares).
Un ultimo rilievo sulla vicenda riguarda la particolarità della data di nascita della piccola: il giorno 25 dicembre, lo stesso del Bambino Gesù. Il papà della piccola Amanda, mentre la moglie si trovava in sala parto, pregò a lungo e insistentemente davanti a un piccolo presepe allestito nelle vicinanze, in ospedale.
I genitori, come da loro stessi dichiarato, intrapresero a partire da quei drammatici momenti un cammino di fede più autentico: vollero leggere l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI per metterla concretamente in pratica nella loro vita coniugale.
Fu così che, anni dopo la conclusione di questa drammatica vicenda a lieto fine, sarebbe nata la loro terza bambina, Luisa, completando la famiglia.
Amanda felice insieme ai genitori
I segni dei tempi
E’ un segno, questo, che come tutti i miracoli che rappresentano anch’essi dei segni, rimanda alla fede e alla sequela di Cristo.
Il Vangelo dell’apostolo Giovanni, è interamente costruito intorno ai segni che Gesù compie e che svelano progressivamente la sua vera identità di Figlio di Dio venuto nel mondo.
Allo stesso modo anche la narrazione di svariati fenomeni atmosferici, in tutta lo snodarsi della Sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento, rimanda al linguaggio dei segni.
In particolare, gli ultimi capitoli del Vangelo di Matteo (cfr. Matteo 24,1-42) anticipano i segni che accompagneranno gli ultimi tempi.
E’ da non dimenticare come, quando papa Paolo VI arrivò a Pescara il 17 settembre 1977 in occasione del Congresso eucaristico nazionale, sotto una incessante pioggia battente, la pioggia cessò e un arcobaleno apparve all’orizzonte, nel cielo improvvisamente divenuto azzurro.
Testimoni dell’evento atmosferico furono, tra gli altri, mons. Antonio Iannucci, allora titolare dell’arcidiocesi di Pescara-Penne, che ricorda l’arrivo del pontefice sul luogo previsto per le Celebrazioni Eucaristiche (la grande Rotonda in riva al mare) e il giornalista Giuseppe Montebello.
Non è possibile dimenticare nemmeno quanto accaduto a Buenos Aires, in Argentina, domenica 17 dicembre 2023: un fulmine ha letteralmente polverizzato la chiave e l’aureola della statua di San Pietro, posta sulla facciata del Santuario della Madonna del Rosario di San Nicolas, situato a nord della capitale.
L’evento è stato successivamente confermato dal reverendo padre Justo Lofeudo, fatto che ne aumenta la credibilità, trattandosi di un sacerdote sicuramente bergogliano. Da sottolineare come l’evento atmosferico sia accaduto il giorno precedente la pubblicazione della dichiarazione “Fiducia supplicans” dove la Chiesa Cattolica apre alle benedizioni per le coppie omosessuali.
Anche il luogo dell’accaduto è molto significativo: il Santuario di San Nicolas è in Argentina, patria di Jorge Mario Bergoglio, a pochi chilometri da Buenos Aires, città dove fu vescovo a lungo.
La statua di San Pietro sulla facciata del Santuario della Madonna del Rosario di San Nicolas, come si presentava prima di essere colpita dal fulmine (a sinistra) e dopo che aureola e chiavi sono state incenerite (a destra)
Secondo quanto ha riportato il canale Telegram “Le perle del papa”, soprattutto, esso è un luogo di culto e di venerazione perché all’interno si trova la statua della Madonna del Rosario, che apparve negli anni Ottanta per anni alla veggente Gladys Quiroga de Motta, lasciandole oltre 1800 messaggi dove la Madonna si ricollegava alle apparizioni di Fatima e all’apostasia della Chiesa Cattolica.
Infine è da sottolineare come il 17 dicembre sia anche il giorno del compleanno di Bergoglio.
Si tratta di una serie impressionante di coincidenze che sembrano costituire una risposta perfetta a tutti quei tradizionalisti che definiscono i papa postconciliari come antipapi, per cui Bergoglio ne sarebbe solo la logica continuazione.
Anche il fulmine autentico (non era un falso) che si abbatté sulla cupola di San Pietro il 12 febbraio 2013, giorno dell’annuncio delle dimissioni di papa Benedetto XVI, è una risposta nel linguaggio dei segni a queste illazioni.
Sempre che i cattolici vogliano ancora osservare e tenere conto dei segni celesti.
Per una strana coincidenza, e per tutt’altre ragioni, mi trovavo anch’io a Roma la sera dell’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI, diventando mio malgrado testimone diretta del forte temporale. Ricordo ancora molto bene il rumore scrosciante della pioggia battente, così forte da stringere il cuore e da farmi temere spiacevoli inconvenienti per il mattino successivo, quando avrei dovuto ripartire per far ritorno a casa.
Il fulmine che si abbatté sulla cupola di San Pietro il 12 febbraio 2013, giorno dell’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI
La distruzione della Humani Generis ordinata dal card. Eugenio Pacelli
Dopo aver parlato a lungo di papa Paolo VI, vale la pena ancora di tornare indietro nel tempo, precisamente alla fine degli anni Trenta, quando l’Italia si trovò sull’orlo del Secondo conflitto mondiale. Il riferimento è ai concitati giorni che seguirono la morte improvvisa di papa Pio XI, avvenuta il 10 febbraio 1939.
Sappiamo come il pontefice originario di Desio non riuscì mai a pubblicare la sua enciclica Humani generis, dove accennava anche al destino infelice ed errante del popolo ebraico, conseguenza del suo rifiuto della fede in Cristo.
Era Segretario di Stato Eugenio Pacelli, futuro Pio XII. Giambattista Montini ricevette allora l’ordine secco, senza mezzi termini, di distruggere l’enciclica di papa Pio XI, compreso tutto il materiale presente in tipografia, da una telefonata diretta di Pacelli.
Tale ordine, come ci rende noto la storia, non venne tuttavia mai eseguito, visto che almeno alcune parti dell’enciclica dello sfortunato Pio XI sono arrivate fino a noi.
Ma anche di questo grave fatto si parla poco.
E’ interessante notare ancora come Eugenio Pacelli venne eletto, dopo la morte di papa Pio XI, subito al primo scrutinio, assai diversamente dalle elezioni sofferte del suo predecessore, che videro il susseguirsi di numerosi e travagliati scrutini. È evidente inoltre che Pacelli, quale Segretario di Stato, dovesse per forza essere a conoscenza di tutte le attività del pontefice prima della sua morte improvvisa, come anche dei collaboratori gesuiti di Pio XI.
Non amo parlare male dei pontefici della Chiesa Cattolica, ma è ormai divenuta palese la logica dei due pesi e delle due misure: tutti i papi successivi al Concilio Vaticano II sono per definizione cattivi. I papi preconciliari sono invece tutti buoni e in testa spiccano le virtù di papa Pio XII, definito “angelico” dalla rivista Chiesa viva.
I silenzi, il massacro e le stragi
Pio XII è stato un pontefice contestato per i silenzi e le omissioni ai danni degli ebrei durante il Secondo conflitto mondiale.
Tuttavia ciò non costituisce la verità. Da quanto risulta invece storicamente, Pio XII si attivò molto, anche se celatamente data la difficile situazione, per salvare gli ebrei. Di tutto questo si è ampiamente discusso in molte sedi e i difensori di papa Pacelli non mancano.
Invece, sono spesso taciuti i suoi silenzi assoluti durante il massacro di migliaia cattolici polacchi, compresi gli appartenenti agli Ordini religiosi maschili e femminili, durante il Secondo conflitto mondiale; e il silenzio assordante durante il massacro, tutto italiano, subito dopo la conclusione della guerra, dei giovani e giovanissimi fascisti.
Ragazzi che avevano dato tutto, nell’ultimo, disperato tentativo di difendere la Patria dall’invasione straniera.
Ma si annoverano parecchie vittime addirittura anni dopo la conclusione del conflitto mondiale, in quanto nel dopoguerra fu scatenata una vera e propria caccia a tutti coloro che avevano militato nelle fila fasciste. Le vittime furono anche tante giovanissime donne: fu la grande strage delle ausiliarie, dove migliaia di ragazze furono barbaramente trucidate mentre moltissimi corpi non vennero mai ritrovati, anche solo per essere restituiti alla pietà delle famiglie.
Papa Pio XII non spese mai una parola per denunciare quanto accadeva nel Nord Italia, a pochi chilometri del Vaticano.
Incredibilmente, invece, sono state rivolte ridicole accuse verso mons. Giambattista Montini, futuro papa Paolo VI.
Franco Adessa dichiara infatti che Montini era l’uomo della sinistra «con i suoi contatti segreti con rappresentanti comunisti di alto livello».
Adessa dimentica come nel 1962, quando Aldo Moro, da segretario della Democrazia Cristiana, avvia un sondaggio tra i vescovi italiani ritenuti più possibilisti sul centrosinistra, la sua proposta ottiene un giudizio negativo dall’arcivescovo di Milano mons. Giambattista Montini già contrario l’anno precedente alla formazione della giunta con i socialisti (definiti “social-comunisti”) proprio a Milano.
L’arcivescovo Giambattista Montini bacia il suolo della città di Milano il giorno del suo arrivo nell’arcidiocesi (6 gennaio 1955)
Franco Adessa parla dell’anti-fascismo di Montini senza mai ricordare che fu invece proprio papa Pio XII a far piazzare delle microspie in Vaticano per scoprire chi fossero gli alti prelati hitleriani e molto probabilmente anche fascisti!
E sempre papa Pio XII durante la Seconda guerra mondiale trasferì tutte le informazioni a lui pervenute, attraverso una rete capillare di spionaggio (vi militavano appartenenti a Ordini religiosi con dispensa papale speciale), direttamente negli Stati Uniti, il che significa in ultima analisi alla massoneria anglosionista!
Pio XII costituì infatti un clandestino «Comitato degli ordini» tra i più alti esponenti dei gesuiti e dei domenicani tedeschi con l’incarico di rastrellare documenti e progetti bellici del Fuhrer da tutte le fonti possibili, dalle centraliniste alle segretarie, ai funzionari di governo ostili al regime. Tramite religiosi che avevano avuto dal papa la speciale dispensa per indossare abiti borghesi e «vivere al di fuori delle regole dell’ordine», si inviavano messaggi e dispacci in Vaticano, che a sua volta papa Pacelli faceva in modo di farli pervenire a Londra e Washington. Ne abbiamo già parlato.
Lo storico Mark Rieblingn, nel suo libro Le spie del Vaticano (Mondadori, pp.369 ss.), attingendo a numerosi archivi, fra cui i National Archives and Records Admnistration statunitensi e quelli vaticani, ricostruisce dettagliatamente le trame con cui Pio XII cercò di provocare la caduta di Hitler. Il papa prendeva in seria considerazione, come dimostra Riebling, l’eventualità di un colpo di Stato e si dichiarava disponibile a far da mediatore tra i cospiratori e gli Alleati.
Come sappiamo anche dalle ultime parole di Benito Mussolini, «la Chiesa aveva preferito degli avversari deboli» rinnegando un «amico forte» che era il Fascismo.
Continua Mussolini, intervistato per l’ultima volta dal giornalista Gian Gaetano Cabella allora direttore del “Popolo di Alessandria”: «Diplomazia abile, raffinata. Ma, a volte, è un gran danno fare i superfurbi. Con la caduta del Fascismo, la Chiesa Cattolica si ritroverebbe di fronte a nemici d’ogni genere: vecchi e nuovi nemici. E avrebbe cooperato ad abbattere un suo vero, sincero difensore. Nel sud, nelle zone così dette liberate, l’anticlericalismo ha ripreso in pieno il suo turpe lavoro».
«Siamo stati i primi, i soli, a ridare lustro e decoro e libertà e autorità alla Chiesa Cattolica. Assistiamo a questo straordinario spettacolo: la stessa Chiesa alleata ai suoi più acerrimi nemici».
E da quel momento, infatti, le porte all’ideologia marxista e alla distruzione della Chiesa Cattolica in Italia furono spalancate: a farne le spese pagando con la vita anche tanti preti dell’Emilia Romagna, nel silenzio totale degli alti prelati e del pontefice.
L’avversario debole (o forse sarebbe meglio definirlo amico) altro non era che la lunga mano della massoneria angloamericana che aveva soggiogato l’Italia. Dietro la quale si celano i soliti nomi, Rothschild, Rockefeller, ecc.
Lo scempio sul cadavere di Benito Mussolini si consumò senza le proteste del papa, senza che dalla Chiesa Cattolica si levasse una sola parola di dura condanna.
E meno male che il cardinale Ildefonso Schuster, che fece da intermediario tra le parti, promise a Benito Mussolini pochi giorni prima che si accingesse ad abbandonare Milano, il 25 aprile 1945, che non ci sarebbe stato alcuno spargimento di sangue!
La copertina del libro di Gianfredo Ruggiero, pubblicato nel marzo 2019: il libro si propone di far luce sulla storia d’Italia nel primissimo dopoguerra
Il fratello di Claretta Petacci, il chirurgo Marcello Petacci, fu inseguito e crivellato di colpi dopo che si buttò nel lago di Como per tentare di sfuggire ai suoi inseguitori. La moglie con i figlioletti fu portata in una casa ed abusata. Tutto il seguito di Mussolini fu barbaramente trucidato mentre sulla morte dell’amante del Duce, Claretta Petacci, si disse che si era messa in mezzo per difendere Mussolini, e perciò venne colpita casualmente!
Già, la Petacci, anche se all’epoca aveva solo 33 anni, sapeva troppe cose per rimanere in vita, compresa l’esistenza di quella borsa di cuoio gialla dove Mussolini teneva documenti riservatissimi. In quei documenti erano contenute le prove che dimostravano come Benito Mussolini avesse cercato con tutte le sue forze di impedire la guerra.
Molto probabilmente vi era conservata la corrispondenza del Duce con il massone primo ministro britannico Winston Churchill, che, a differenza di Mussolini, aveva voluto e alimentato in ogni modo il Secondo conflitto mondiale.
La borsa gialla di Mussolini – come sappiamo – non fu mai ritrovata. Il fatto ci ricorda la scomparsa, immediatamente dopo l’attentato di via D’Amelio al giudice Paolo Borsellino, della sua riservatissima agenda rossa. Le immagini di quei primi concitati momenti, dopo l’arrivo dei soccorritori, vedono una valigetta (quella di Paolo Borsellino) nelle mani di un uomo in borghese che si allontana velocemente dalla scena. Probabilmente si trattò di un uomo dei servizi.
Perché i fatti così amari che hanno condotto oggi Bergoglio al soglio pontificio risalgono non certo e soltanto al Vaticano II, ma a molto, molto tempo addietro, con il processo di infiltrazione massonica e minuziosa della Chiesa Cattolica e, ancora prima, di tutti gli strati della società civile.
Papa Pio XII in ultima analisi facilitò tale compito, senza opporsi. Non sappiamo se ciò avvenne coscientemente o se fu diretta conseguenza della sua lotta contro il Nazismo, il quale tuttavia altro non rappresentò che il cavallo di Troia con cui la potentissima finanza anglosionista riuscì a conquistare l’Europa.
Il processo di infiltrazione della Chiesa Cattolica durò secoli: il predecessore di Pio XII, papa Pio XI, si trovò di fatto a farne le spese, pagando con la sua stessa vita.
Ma la storia vera è stata occultata e la verità è tenuta ben lontana dall’opinione pubblica e dai libri di scuola.
Mentre sul “libero” canale Telegram di Cesare Sacchetti non è accettato alcun contraddittorio non appena l’argomento vada a toccare i papi postconciliari: cancellate le frasi che fanno un riferimento preciso a fatti storici a supporto della verità, come nel caso di San Giovanni Paolo II, di cui si è già avuta occasione di parlare.
Accuse al pontefice polacco orchestrate ad arte in Polonia e nel mondo, con in testa il famoso New York Times, che già ci aveva preso gusto più di quarant’anni prima con papa Paolo VI. Ma Sacchetti censura il dissenso esattamente come coloro che molto spesso, giustamente, critica.
Il “Vescovo vestito di bianco”
E, a proposito dei tanto discussi pontefici postconciliari, intendo soffermarmi brevemente sulla figura, odiatissima, di papa Benedetto XVI. Mai un pontefice è stato tanto odiato:
«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Giovanni 15,18-19).
Il mistero di Fatima è una lampada che si accende nella notte e che ci illumina. Il Vescovo vestito di bianco, a mio modesto avviso, è proprio papa Benedetto XVI.
Ci sono stati, nel mio intimo, “fatti precisi” (sicuramente non “prove certe”, che sono tuttavia testimonianze di parte) che vanno molto oltre quello che si può oggettivamente verificare e misurare. Altro qui non potrei scrivere, se non uno scambio di sguardi nella notte per mezzo di una vecchia fotografia che ritraeva Lucia dos Santos e Jacinta Marto: foto comparsa inspiegabilmente sul mio smartphone.
Per alcuni brevi istanti, ho avuto l’impressione che il tempo si fermasse.
La fotografia è saltata fuori all’improvviso occupando il posto della schermata “Home” del mio smartphone, certa di non aver digitato o scaricato assolutamente nulla, proprio mentre il corso dei miei pensieri stava inseguendo papa Benedetto XVI e il “Vescovo vestito di bianco”.
Da settimane ormai stavo lavorando incessantemente al mio PC, usando lo smartphone esclusivamente per le comunicazioni personali.
Jacinta Marto e la cugina Lucia dos Santos nel 1917
Un’esperienza di sicuro tutta mia che rimane custodita nel privato e sulla quale non intendo assolutamente convincere nessuno, ma le oggettive affinità di papa Benedetto XVI con il “Vescovo vestito di bianco”, rimangono.
«Abbiamo creduto che fosse il Santo Padre», scriverà Lucia.
Una riflessione conclusiva
Ed è proprio con le parole di papa Benedetto XVI che desidero concludere questo articolo, parole già comparse in un mio precedente scritto pubblicato su Ambiente e politica nell’aprile 2021:
Nelle ultime battute del libro “Benedetto XVI, Una vita”, lo scrittore ed autore Peter Seewald pone a Benedetto questa domanda:
«Nel suo libro “Il mistero del male. Benedetto XVI e la fine dei tempi”, il filosofo italiano Giorgio Agamben si dice convinto del fatto che la vera ragione delle sue dimissioni sia stata la volontà di risvegliare la coscienza escatologica [che riguarda i tempi ultimi, n. d. r.]. Nel piano divino della salvezza la Chiesa avrebbe anche la funzione di essere insieme “Chiesa di Cristo e Chiesa dell’Anticristo”. Le dimissioni sarebbero una prefigurazione della separazione tra “Babilonia” e “Gerusalemme” nella Chiesa. Invece di impegnarsi nella logica del mantenimento del potere, con la sua rinuncia all’incarico lei ne avrebbe enfatizzato l’autorità spirituale, contribuendo in tal modo al suo rafforzamento.»
Ed ecco la risposta di Benedetto XVI:
«A proposito delle parabole di Gesù sulla Chiesa, sant’Agostino disse che da un lato molti sono parte della Chiesa in modo solo apparente, mentre in realtà vivono contro di essa, e che, al contrario al di fuori della Chiesa ci sono molti che – senza saperlo – appartengono profondamente al Signore e dunque anche al suo Corpo, la Chiesa. Dobbiamo sempre essere consapevoli di questa misteriosa sovrapposizione di interno ed esterno, una sovrapposizione che il Signore ha esposto in diverse parabole. Sappiamo che nella storia ci sono momenti in cui la vittoria di Dio sulle forze del male è visibile in modo confortante e momenti in cui, invece, le forze del male oscurano tutto. Vorrei infine citare il Vaticano II, che nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium (1,8) espone questo punto di vista rifacendosi ad Agostino: “La Chiesa ‘prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio’ (Agostino, De civitate Dei, XVIII, 51,2: PL 41,614), annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr. 1 Cor 11,26).»
(Benedetto XVI, Una vita, pp. 1208-1209)
Papa Paolo VI insieme a Suor Lucia dos Santos a Fatima, il 13 maggio 1967, mentre celebra il 50° delle apparizioni della Madonna nel suo quarto viaggio apostolico internazionale in Portogallo
Il cardinale Joseph Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI, insieme a Paolo VI
Un’appartenenza soltanto apparente
Appartenere alla Chiesa in modo solo apparente significa anche cambiare la verità in menzogna e quindi in calunnia od occultare la storia. Ed è così che, se una parte dei fatti e degli accadimenti storici vengono taciuti, l’immagine che viene trasmessa ai fedeli ne risulterà ovviamente distorta: diventa evidente allora come coloro che fanno ciò non stiano lavorando all’edificazione della Chiesa di Cristo.
E’ una lotta misteriosa che si consuma tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa dell’Anticristo, la quale si presenta a noi – come sempre accade – sotto mentite spoglie, con una parvenza di pulizia e di “verità”.
«La verità vi farà liberi», scrive l’apostolo Giovanni. La menzogna invece, come ricordò saggiamente lo stesso arcivescovo Carlo Maria Viganò, è l’emblema del diavolo.
Cristo è verità. Afferma Gesù nel suo discorso a Nicodemo:
«Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Giovanni 3, 20-21).
Non si può omettere o oscurare la verità se le proprie opere sono compiute in Dio.
Ancora una volta nella storia della Chiesa, come pure nella turbinosa epoca in cui fu pontefice Paolo VI, ci troviamo adesso divisi tra due fuochi opposti, chiusi all’interno della Chiesa: conservatori e progressisti.
Entrambi lavorano in direzioni che sembrano diametralmente opposte: ma la loro appartenenza alla Chiesa è, in molti casi, solo apparente.
Entrambe le divisioni, in ultima analisi, sia con intenzioni malvage o sia con intenzioni persino buone, lavorano esse stesse alla divisione dei fedeli e alla distruzione della Chiesa Cattolica, che ne risulta dilaniata. Vi operano quelli che l’apostolo Giovanni definisce seduttori che corrompono per mezzo delle eresie il Vangelo della salvezza.
Scrive ancora Sant’Agostino, padre e dottore della Chiesa, nel suo De Civitate Dei:
«Prima della fine, in quest’ora che Giovanni considera l’ultima, sono usciti dalla Chiesa molti eretici, che egli reputa come molti anticristi, così alla fine usciranno da essa tutti coloro che non apparterranno a Cristo, ma all’Anticristo, e allora si manifesterà» (Agostino, De Civitate Dei, XX,19,2).
La nostra fede tuttavia è fondata non su vagheggiamenti e “parole di uomini” ma sul solido deposito della fede contenuto nella sacra Tradizione e nella Sacra Scrittura, a noi trasmesso inviolato dagli apostoli e dai loro successori.
Ed è proprio la Sacra Scrittura, Parola di Dio in parola di uomini, che ci indica con certezza che, malgrado fuori stia imperversando la tempesta, la barca di Pietro non affonderà.
Perché a guidarla è Cristo stesso.
E alla Chiesa, a cui tutto devo e che fu mia, che dirò? Le benedizioni di Dio siano sopra di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo.
Papa Paolo VI, Pensiero alla morte